| |
Ironia e quotidianità in una raccolta di poesia di Lucio Zinna
La Sicilia della tradizione e quella della lacerante
attualità
Autore fine e riservato, vivace
operatore culturale (in campo editoriale e audiovisivo), poeta lirico con il
dono dell’ironia, Lucio Zinna ha al suo attivo diversi volumi di versi e due
libri di prosa: Come un Sogno incredibile (1980), che è un
romanzo-inchiesta sul soggiorno di Ippolito Nievo e Palermo, e Il ponte
dell’ammiraglio (1986), una raccolta di luminosi «quadri» di vita siciliana
(Zinna è nato a Mazara del Vallo e vive a Palermo). La sua novità è ora un libro
di poesie dal titolo Bonsai.
Perché «bonsai»? Perché
l’albero che i giapponesi riducono ad arbusto assume, per l’autore, il valore di
un simbolo preciso: nei rapporti con il prossimo, ciò che ognuno di noi dà ha il
peso di una grande pianta, e ciò che riceve ha invece la leggerezza di un
bonsai. Autore di chiara ispirazione etica e religiosa, Zinna trae materiali
poetici proprio dalla sincerità con cui ammette che «non tutti che mi stanno
intorno mi sono prossimi», confessando così una condizione umana e sociale
nella quale la solitudine è un tarlo continuo. L’ironia e l’autoironia di Zinna
si acuiscono, a volte, nei vertici di una garbata forma di sarcasmo. I suoi
colpi di spillo sono tuttavia di carattere dolce e mite, come quello che prende
spunto da una di quelle ceramiche casalinghe sulle quali è impresso un motto: «Il
denaro fa l’uomo ricco – l’educazione lo fa signore», dice la ceramica.
L’epigramma di Zinna precisa che, in ogni caso, se manca l’argent diventa
più
difficile essere «signori».
Le invenzioni gnomiche di
Zinna sono sempre ben radicate nella realtà vissuta secondo coscienza, sempre
improntate a una ragione di vita, in un positivo intreccio fra intelligenza e
sensualità. Con Bonsai, Zinna conferma la sua disponibilità, direi la sua
vocazione, al serissimo
gioco delle mitologie
quotidiane che si accendono di un discreto e familiare fuoco interno. Nei versi
di Zinna c’è la casa, ci sono i familiari, il gatto domestico (si chiama
Raffaele), e naturalmente c’è una «sicilianità» che si esprime su due antitetici
piani: quello della tradizione e quello della scoperta dell’attualità, anche
quella lacerata e lacerante della violenza. Ma ogni elemento si fonda su una
netta e ben controllata conoscenza, mai sulla generalizzazione. E non è un
merito da poco.
Ecco infatti, in Bonsai,
il ricordo dei paladini, degli aranci, dei fichidindia e del «pecorino col
pepe». Ma accanto a questi eleganti fregi spiccano gli affreschi fortemente
chiaroscurati della società isolana, con i suoi pregi-difetti, i contrasti, i
conflitti interni. Tipico esempio di questa poliedricità è la poesia «Filastrode
per Palermo multipla», dove la città vive in tutta la sua contrastante verità:
c’è la Palermo becera e quella signorile, i gelati al gelsomino, i morti
ammazzati, le «miracolose botteghe antiquarie» e i sapori normanni. La
conclusione ha un appropriatissimo riferimento spagnolo: «Palermo – mi dispiace
– te quiero: una conflittuale dichiarazione d’amore.
| |
 |
Recensione |
|