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Sągana dell'ironia e del rimpianto

Sągana č una parte di colline, tra Giacalone e Montelepre (vicino a Palermo), rimasta alla campagna. Da quei luoghi Lucio Zinna ha preso titolo per l’antologia (ed. Il punto) che si č composta con poesie da II filobus dei giorni e da Un rapido celiare, e un buon gruzzolo d’inediti.

Quantunque personali, le antologie inevitabilmente sono faziose. Puņ anche darsi lo siano in modo opportuno. Consueto componente di giurie letterarie, struttura-portante della ben nota rivista « Sintesi », critico acuto e istintivamente sistematico (pił recente esempio: il saggio Franz Kafka e il « Processo », edito nella collana « Estuario »), Lucio Zinna − nel sistemare le poesie di Sągana − č stato probabile critico di se stesso.

Elio Giunta − alacre, penetrante, studioso di letteratura italiana contemporanea e dei segni di costume che la tingono − lamenta l’esclusione, da questa silloge, del libretto di ricerca post-gruppo-‘63 Antimonium 14 denso delle caratteristiche di scrittura di questo poeta (Lucio Zinna e la lezione esemplare di «Sągana», ed. Centro Pitrč). Anch’egli poeta, Giunta vorrebbe ritrovare in un corpus organico il completo − e variegato − organigramma delle tensioni, degli umori, che formano la poesia « esemplare » di Zinna con illuminazioni e trame sintattiche.

Il rigore della scelta tendeva a fare di questa raccolta uno spiedo, ferro snello e privo d’increspature; meglio − giacché la poesia č ubiqua, anzi poliqua, ed equivoca − una sottile e luminosa scultura di Brancusi, insieme una pregnante forma circolare (possibilmente rotonda) di Cappello. Ma non sarą inutile riprodurre − l’ha gią fatto Elio Giunta, con intelligenza, in quel saggio − un passo emblematico di Antimonium 14 (ed. I quaderni del « Cormorano » diretti da Angelo Fazzino) :

Aperto sipario i tuoi capelli sciolti e la frangetta il tuo mi rappresentano viso in atto unico voglio suggerirti qualcosa nel cupolino rosso della bocca non ascolti nessuno. Se palpebre sfarfalli e appaiono fossette sulle guance gusti secco di baci e Vitamina C voglio suggerirti qualcosa (nel cupolino rosso della bocca).

Significativo ed emblematico, non molto circa l’attrazione operata dal « Gruppo ‘63 » (rimasta un’esperienza, in chi l’ha fatta, del proprio entroterra culturale e in Zinna un passaggio − inerte nel futuro − nell’esercizio della scrittura); interamente preciso − invece − a proposito della permanenza, in ogni evento, della sua consequenziale personalitą lirico-ironica e della sua continua propensione ai temi di comunicabilitą (o d’incomunicabilitą?) − segnatamente siciliana − nei rapporti intellettuali, compresi quelli che si possano trasmettere attraverso il « cupolino rosso», tra uomo e donna. Si capisce, c’č dell’altro; come di Empedocle, « e altri insegnamenti ancora ».

La tendenziositą di Sągana si svolge pure nell’impostazione grafica: un tunnel a ritroso dalle poesie pił recenti sino alle prime; allo scopo di segnalare, con discrezione, l’unitarietą − peraltro evidente − della raccolta. Ma l’interesse a seguire la crescita espressiva dell’autore induce a una lettura inversa, ch’č poi quella giusta in termini cronologici; non da un precedente libro all’altro, ma da una precedente composizione all’altra: sino alla pił solare maturitą del segno poetico.

« Capolinea del venti rosso ». La poesia si ispira a una citazione da Braibanti (Fulgido autunno dove / Dove l’uomo che ama?); inizia in aria di ballata; immette i personaggi (un « lui » e Marcella) in un dialogo che memorizza i « contrasti » nativi, locali, al cui proposito non si puņ tacere il nome (e il « cognome ») di Cielo d’Alcamo: che non si sa quanto fossero politici, giullareschi, pił che ne presenti l’apparenza amorosa; si chiude con una riflessione.

Queste entitą formali si amalgamano in una novitą di forma che, rappresentando la fine del « nostro amore » (quella del « lui » e della « lei » Marcella), risponde alla domanda contenuta nei brevi versi di Braibanti: « Dove l’uomo che ama? »; ecco: nella fine dell’amore. Il senso di questa struggente conclusione giunge in una riflessione lirica di delicato pastello; in cui, perņ, residua un’altra macerazione (« credi in dio? »). Il pubblico-privato del « dio » (minuscolo) si slarga dall’intimitą dell’estinguersi di quell’amore, si aggiunge al pubblico dell’argomento religioso, si lega al privato della sensazione del tempo (« arrivņ l’autunno », « partģ l’estate / per sempre ») e persino alla fisica sensibilitą alle stagioni, si dispone grumo lirico ambivalente tra comunicazione e comunicabilitą (poi tra comunicabilitą e incomunicazione) e si colloca in un fatto persino sociale quale puņ essere l’esistibilitą dell’amore: quello che puņ essere, o potrebbe essere, corrisposto; non l’amore dei tanti « lui » per le tante Marcella, ma dei tanti « lui » con le tante Marcella.

« Per N. (nel V anniversario della scomparsa) ». Il fatto č piuttosto comune: una ragazza inizia un adolescente alle « prime estasi carnali », muore. C’č forse stato, com’č in questi casi, un desiderio inconscio d’incesto nell’effondere l’istinto materno proseguendo i giochi infantili con pratiche amorose; di sicuro, nell’adolescente, c’č un innamoramento che santifica la ragazza e rende sacri i suoi gesti. La morte della ragazza, dopo lunghi anni, č ancora « recondita angoscia » che pone l’adolescente «ai confini del vivere ». Il ricordo, nel momento del risveglio, idealizza la « piccola ninfa d’alabastro » sino a purificarne la santa essenza facendone un’immagine statuaria; č una purificazione totale, nel ricordo consapevole della morte, sino a renderne candidi − per assolutezza di luce − anche gli occhi.

Ma la valutazione si ribalta. La carnalitą terrena č peccato, a quanto si dice; il peccato impone la « dannazione eterna ». Come salvare la ragazza: non con la santificazione (laica) attraverso l’amore, ma adducendo − con certezza − la sua troppo giovane etą: l’irresponsabilitą psicologica le consente di stare lassł, in « un sepolcro aereo » dove si fanno « sogni nuovi » da raccontare « sommessa » all’adolescente nel mattino d’autunno nell’attimo del risveglio. L’intensitą lirica trascorre i vari momenti dell’incanto, le fasi del ricordo, sino allo stato di coscienza: tu vieni « a me », « come il passato » (ribaltamento finale). Ormai la realtą non č sogno.

Questa e altre composizioni (« Quando sul cuore ti posi », « Poi ») si muovono in una misura nostalgica, da « canzone », con riprese e richiami di versi iniziali; poesia che « batte ritmi in blues ». Poco a poco l’intimismo si raffina, come nei tre versi di «Fiume Mązaro », e si fonde in un sentimento di umana solidarietą che diventa (lirica) partecipazione sociale. « Dando vueltas al mundo » − Zinna ricorda i versi di Lorca − « no encontrarąs posada »; ma non esci dalla solitudine. La « canzone » si trasforma in « racconto »; gli aggettivi quasi spariscono; la narrazione dei fatti − essenziale, ritmata dalla cadenza dei versi − č lirica pura di parole consuete, in una collocazione tecnica (in veritą, del tutto creativa), di cui « Mio padre » č una delle punte massime.

Emerge l’ironia, e la sua liquida corrosivitą modifica la crudezza di alcuni colori; i suoi sali disegnano la pagina. La reiterazione dei versi da ancora languori alle composizioni, e lo spleen si spande nella musica; ma l’impennata lirica (« Era una sera di ulivi e fiaccole / lontane. Di fienili i tuoi sguardi. », « Un’arcaica sera di rondini tardive / a fģor di pozzo. ») s’interseca inestricabilmente alla ventata ironica, ai piccoli tagli d’unghie, come − altro icastico esempio − nei « Frammenti di una lettera a Monique ». La poesia assume, dunque, il ruolo di unico appiglio nel marasma: tutto č scompigliato, travolto, dentro e fuori di noi; anche l’impegno politico diviene un velleitario solipsismo.

Punto di luce, in queste sopravvenienti variazioni del disperante sopravvivere, «Elide » stupenda poesia di Zinna e stupenda sua ragazza: un miracolo di linee e di toni. Si ha impressione che proprio attraverso la poesia egli riesca a impossessarsene: a crearla, dal tutto ch’ella č gią come esistente persona; e crearla serve, al termine della fatica, a riconoscerla: qual’č. A questo punto, una parola che sembrava superflua − per ipermusica, − nel senso concettuale del penultimo verso (« amore ») ha funzione di ulteriore verifica del riconoscimento; come aggiungere all’udito, alla vista, per riconoscere un oggetto − in questo caso, una persona − anche il tatto, l’olfatto, il gusto, e l’animo.

La mestizia impedisce la mitizzazione di Elide. Al mitizzare il poeta pone solo intenzione (nella premessa confida: Sągana rappresenta « tutti quei luoghi del cuore che ci succede d’incontrare nella nostra ricerca di porti e di persone presso cui approdare e forse anche consistere. Una stagione appresso all’altra, in quell’arco sospeso tra il miracoloso evento del nascere e il tragico happening del morire »). Č poesia « sostanzialmente pessimista » − come scrive Maurizio Spatola − « ma dalla constatazione dell’assurditą dell’esistenza e della formidabile solitudine dell’uomo, l’autore trae lo stimolo a un tentativo fiducioso e senza sbandate retoriche di recupero dell’umano » (Tuttolibri).

Terra d’esordio

Dove s’insinua il fiume tra le case
e taglia la cittą e sconfinate frontiere
pone a un lato il mare − nostro una volta
ora conteso da due povere genti − dove
narrano storie per un lungo garage i
pescherecci e dove amico il vento reti
asciuga a un sole vagamente desertico
(lą coesistono spesso sole e vento
e temprano caratteri aperti e impetuosi),
appresi ad amare e a partire − io − sorto
a grave vigilia d’armi nella costellazione
dei pesci − azzurro prediligo e di salmastro
forse il mio sangue č sapido − una domenica
di carnevale paesano. Di maschere operaie
un carro bagordava nei pressi, malinconiva
follemente romantico un violino.

Urgenza di restare e di partire, focolare
e avventura mi contrastarono sempre. Sempre
cercai di conciliare legni e pareti e
dentro inconsapevoli mi sentii due civiltą
cercarsi con difficili approcci, europea
e araba, questa gią emergente dalla rena
e quella grano a grano decadervi (cedendo
stanca di resurrezioni fallaci a una
diversa pure remota egestą) come accade
tra gli uomini nel tempo. Terra del mio
umano esordio, primo luogo del cuore, solo
simbolo ormai, forse simbolo.

In questo lembo estremo di Sicilia siamo noi
stranamente un po’ Venezia e un po’ Tunisi
ansia di riscatto e ansia di affondare
in giuochi raffinati goccia a goccia
luminarie e kuscłs pazienza e fremito colorata
tristezza riso e urlo acqua marina e acqua
lustrale montone e scorpčna lupanare e minareto.

Ancora sul frontone della grande chiesa
d’altra stirpe un guerriero che una spada
brandisce a sconfiggere il turco, re vittorioso
umilmente superbo il gran Ruggiero PER ME SI
QUIS INTROIERIT SALVABITUR ammonisce da secoli,
oziose tra le cime degli alberi sbirciando
fanciulle ramingare alla marina.

Il suo discorso poetico − annota Salvatore Orilia (Sintesi) − « quanto pił vuole essere allegorico di una situazione esistenziale, offre una resa verbale, una veritą non compromessa da poetiche programmatiche: si fa, subito, elegia, diario, memoria; segno, cioč, di una stagione mentale inquieta ma fertile, pronta a cogliere i motivi pił fecondi della societą contemporanea, ma non per questo meno operanti sull’angoscia dell’esistere ». Piero Longo (Avvisatore): « una intensitą espressiva e una luciditą stilistica che recupera connotazioni straordinariamente visive alla parola pregnante di un discorso crudo e reale ove la memoria ironica sorride alle contraddizioni dell’essere, oggettivando la realtą dell’uomo contemporaneo e dell’intellettuale siciliano costretto nella ambiguitą di culture diverse e alla ricerca della propria identitą ».

Un «linguaggio raro, fatto di ondeggiamenti ironici e di netti tagli sintetici: linguaggio di richiamo al concreto esclusivo delle cose, pieno di risonanze per merito di una forte, evidente volontą di incidenza » ironica (ricorda Elio Giunta nel suo studio) nel « gioco di adattamento » ch’č il « gioco dell’esistere »; dunque, « una costante limpiditą e stringatezza: a volte scabra, tagliente, sa essere altre volte calda aumentando di pulsazioni, non d’aggettivi» (Alberto M. Moriconi, Il Mattino).

Meno definitiva − perché maggiormente problematica, aperta − č l’allocuzione di Longo. A proposito della quale si puņ forse aggiungere: la cultura in fondo č l’equilibrio, instabile, nell’ambiguitą di culture diverse; un’identitą dell’intellettuale − tanto peggio se poetante − non esiste: se mai coincide con l’immagine in progress della sua cultura. Sotto questo aspetto, il caso di Zinna appare tipico: basta centellinarsi questo libro, magari non sottraendosi alla tentazione di divinare il futuro.

Infatti, vi sono − da un canto − tutti i risultati per un approfondimento tematico e per una, non pił perfettibile, contaminatio degli elementi lirici con quelli vitalmente ironici; d’altro canto, si prospetta una diversificabilitą semantica sino al punto della stesura del verso in un prolungamento − com’č stato in Antimonium 14 − perņ nel senso di narrativa in cui si esplichi l’attenzione storica, evidente nelle varie sezioni di Sągana, in intima connessione al giudizio « morale » che pił volte fa cenni in varie poesie.

Per sua indole ironica, Lucio Zinna sarą d’accordo: morale sia il significato della moralitą. Illuministici effetti hanno indotto Serafino Amabile Guastella a denominare Moralitą le narrazioni popolane che precedono − di spazio e di tempo − i Mimi di Francesco Lanza; cose siciliane che senza ironia non esisterebbero; «morale», come dire: la morale della favola. Del resto, anche Zinna č siciliano; sia pure costiero: palermitano di Mazara del Vallo. E poi, costiero sino a un certo punto: se si pensa quanta terra interna − anch’essa coltivata d’ironia − entra nel Val di Mazara.

Antonino Cremona,
Sągana dell’ironia o del rimpianto
,
Collana “Estuario”, Edizioni di Sintesi, Palermo, 1984.

Bibliografia

Opere citate

GIUNTA E., L. Z. e la lezione esemplare di Sągana, Palermo, Edizioni del Centro Pitrč, 1977.

LONGO P., Avvisatore, Palermo, 23-2-1977.

MORICONI A.M., Due autori delle nuove generazioni, II Mattino, Napoli, 29-3-1977.

ORILIA S., Sągana: avventura lirica di L.Z., Sintesi, Palermo, Giugno 1977.

SPATOLA M., Tuttolibri, Torino, n. 64, 29-1-1977.

Si vedano, inoltre:

LEOTTA V., Sągana-retrospettiva, Prospettive culturali. Napoli, Luglio 1979.

D'ACUNTO S., Ragguaglio librario, Milano, Marzo 1979.

SPAGNOLO S., L‘isola e il verso, Catania, Milo, 1981.

OCCHIPINTI G., / p(r)o(f)eti dell’isolamondo, Verona, Giannotta, 1982.

TOSCANI C., in: AA.VV. La poesia contemporanea, con prefaz. di B. Majer, Milano, 1982.

V. SANTANGELO, in: AA.VV.: Atti del Convegno sulla poesia siciliana contemporanea, a cura di S. Rossi, Caltaeirone, 1982.

DE NICOLA F. - PELLECCHIA R., Antologia della letteratura italiana dal dopoguerra ad oggi. Latina, Di Mambro, 1983.

ZAGARRIO G., Febbre, furore e fiele, Milano, Mursia, 1983.

Recensione
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