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Un lungo romanzo esistenziale

Raccolta di componimenti apparsi già in collettivi di poeti e in riviste letterarie e di componimenti inediti – cosi l’autore scrive nella Nota collocata in chiusura – Abbandonare Troia rimanda ai modi e agli spiriti di Sàgana, Tabes, Dalle rotaie, testi poetici così vicini a questa recente silloge di Zinna da costituire un nuovo capitolo di quel romanzo esistenziale, personale e autobiografico, che egli va scrivendo ormai da anni. Il primo dato che emerge dalla lettura di Abbandonare Troia è infatti la continuità, è perciò l’unità, di un discorso poetico che, essenzialmente incentrato sul dramma esistenziale dell’uomo sperduto nella sua solitudine, si apre alla considerazione dei motivi etico- filosofici che coinvolgono i modi stessi dell’essere, dell’esistere e dell’operare del singolo e della società e quindi anche del poeta, attore e spettatore di questo dramma.

A intendere nella sua essenza più profonda e nella sua interezza questo testo poetico di Zinna giova tenere presente quella parte detta Lettera di A. De Saint–Exupéry al Generale Chambe posta ad epigrafe della silloge e forse, ancora di più, «Sessantacinque versi per il treno della Maiella», la lirica bellissima che la conclude. La prima anticipa le ragioni del rifiuto opposto dal poeta alla civiltà tecnologica, arida e disumanizzata, e del suo giudizio severo su questo nostro tempo «che ci sgrana e non contempla | soste o in moneta le volge». La seconda, elegia tenera e calda di affetti, esprime la stanchezza di «sorprese e inconfessati strazi» e l’ansia di fuga verso un paese innocente dove, al riparo da «semafori, zebre, ciminiere, mitragliette e kermesses mondane», possano risolversi le antinomie e i contrasti dell’esistenza, dove si possa trovare una dimensione al vivere più umana e autentica, dove si possa infine «comprimere la fretta, rallentare i gesti | reinventarsi le albe i tramonti».

Nessun indugio idillico o contemplativo, nessuna divagazione, nessuna fuga dal reale nella poesia di Zinna concentrata tutta, com’è, nella visione trepida e angosciata dell’esistenza umana priva di conforti e di speranze. «Il bivio», la poesia che in funzione proemiale apre Abbandonare Troia, induce infatti a una visione cupamente pessimistica del mondo dominato da forze oscure, incontrollabili e indifferenti e Zinna ce ne dà esplicita conferma contrapponendo alle supreme certezze dell’homo faber la onnipotenza assoluta del caso che ad ogni bivio rivendica perentoriamente il suo diritto alla compartecipazione alle scelte e ignora ed infrange «le coordinate imprese, le ferree volizioni, le strategiche inquadrature» dell’uomo. È lo scacco del ficiniano faber creatore del suo destino, è la sconfessione dell’uomo libero, cui è concesso soltanto di coltivare la libertà come utopia.

Nuovo capitolo del romanzo esistenziale di Zinna, Abbandonare Troia non è estraneo – come si è accennato – all’atmosfera dei precedenti libri di poesia e particolarmente di Sàgana, emblematizzazione di «tutti quei luoghi del cuore che ci succede d’incontrare nella nostra ricerca di porti e di persone presso cui approdare e forse anche consistere».

E Sàgana non è presente solamente come atmosfera, ma anche come concreta espressione poetica in «Pastori di Sàgana», lirica trepida e rievocazione commossa di quella plaga felice ora minacciata dal cemento. Ma Sàgana è anche anticipazione del tema della sicilitudine e della identità personale che avrà il suo svolgimento e la sua conclusione in «Sudità».

In «Terra d’esordio» il tema della sicilitudine si configura ancora come ambigua «urgenza di restare e di partire» e assiduo contrasto tra «focolare e avventura» ed anche il tema della identità resta sospeso nell’incertezza della scelta: «mi sentii due civiltà | cercarsi con difficili approcci, europea | e araba» ed ancora nella stessa lirica: «in questo lembo estremo di Sicilia siamo noi | stranamente un po’ Venezia e un po’ Tunisi».

In «Sudità» invece, il poeta rivendica la originalità del proprio essere: «Ognuno è quel che diviene», al di là di ogni deterministico influsso di «fattori endo | esogeni». Imbevuto di «continentale letteraria cultura», il poeta si configura cittadino del mondo e secondo l’aspetto climatico–geografico, «uomo del nord (Sicilia mio nordafrica) né mi cale se tu – | così soavemente lombarda – sia donna del sud (del sudeuropa intendo)».

La coscienza della crisi dei valori tradizionali e il disagio storico, morale ed esistenziale, avvertiti drammaticamente dalla generazione nata dalla guerra, sono espressi da Zinna con un tono sommesso che esclude ogni forma di violenza verbale e polemica e trova il suo equivalente espressivo nell’ironia che si fa schermo contro la tristezza. I cultissimi e letterari intarsi di stilemi, di sintagmi e talvolta di interi versi (danteschi e leopardiani soprattutto) nel corpo di una scrittura caratterizzata da un tono di «medietas», nascono dalla stessa disposizione ironica che può essere considerata perciò la nota tipizzante di Abbandonare Troia.

Roma, 1 febbraio 1987

Recensione
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