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Nel momento stesso in cui si comincia la
lettura di Pregiudizi e leziosaggini, due atti brevi di Domenico Defelice, ci
si ritrova subito a teatro a seguire la rappresentazione del testo ormai noto
per trama e personaggi a lettori-spettatori affezionati. La scena realistica è
sempre essenziale, i protagonisti si muovono nel quotidiano delle cose, talora
rallentato o concitato dalla miopia degli uomini. E subito ti cattura il
dialogo, agile, dinamico coinvolgente per il linguaggio preciso e felice, aperto
nelle confidenze d’amore segreto fra i due giovani, ma già turbato dalla notizia
dell’arrivo del fratello, chiuso in brevi monologhi, allargato nelle riflessioni
e apprensioni materne, ripiegato nella nostalgia di casa e del paese, in uno
sfondo di paesaggi naturali amati, di paesaggi umani inquietanti. Un dialogo,
pur nella varietà del ritmo, sempre profondo e acuto nei giudizi anche storici
sulle situazioni ambientali, sociali in particolare sulla condizione femminile,
nell’analisi delle varie tematiche in primis del pregiudizio, leitmotiv del
testo, un tafano che assilla la mente con conseguenze comportamentali devastanti
nel contesto socio-familiare, come dice con altro dire Teresa. E di battuta in
battuta sbalza completa l’interiorità dei protagonisti e quasi si intuisce la
loro fisicità: la freschezza di Emilia con le sue premure ed ansie, con i suoi
sogni e ribellioni; la romantica giovinezza di Marcello chiuso in una statica
nostalgia; la forza e la fragilità di Teresa; l’irascibilità di Rodolfo, da
subito personaggio inquietante, capace poi di riscattarsi dai suoi pregiudizi. E
l’atmosfera già si carica delle loro esistenze, in cui sentiamo rispecchiarsi le
nostre nei momenti di felicità conquistati con fatica, sempre da difendere
dall’ombra minacciosa di presenze miopi ossessionanti, e ancora nelle tensioni
per l’imprevisto, l’inatteso, nell’incapacità di chiarire i rapporti umani,
nell’abbandono talora alle leziosaggini. Ma anche nello stupore quasi
incredulità per lo sciogliersi di un nodo ritenuto irrisolvibile, quella
purificazione finale di Rodolfo che ricompone l’armonia della casa a prezzo
della vita materna. E spesso nella realtà un simile processo di catarsi comporta
un costo alto da pagare. La trama della vicenda, ambientata negli anni cinquanta
ma ancora pienamente viva per i temi così attuali e per i meccanismi
psicologici, si snoda in modo fluido in sintonia con il ritmo del dialogo,
appunto con le sua aperture, chiusure, ripensamenti, concitazioni, con il grido
di dolore finale. Una pagina di vita ordinaria letta in tutte le sua pieghe e
resa nella varietà degli intrecci con ottima regia: situazioni, giudizi, stati
d’animo, tutto converge in una sintesi di equilibrio e misura. Una pagina di
vita ordinaria che l’arte di Defelice sa rendere straordinaria con l’uso
sapiente di tutti gli strumenti della drammaturgia.
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Recensione |
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