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Alessandro Miano, l'esercizio ascetico della scrittura:
poeta siciliano della cosiddetta “quarta generazione”
A quasi un
ventennio dalla morte, il critico Gualtiero De Santi racconta le tappe
significative della vita del poeta siciliano originario di Noto (Siracusa),
protagonista della cosiddetta quarta generazione del Novecento poetico.
Canzoniere
dell'anima:
questi i termini con i quali si è inteso definire le liriche di Alessandro
Miano, un’impegnativa definizione utilizzata tra gli altri da Bruno Maier,
dall'ispanista Gaetano Chiappini e da Franco Lanza durante un Convegno di Studi
svoltasi a Milano nel 1995 presso il Centro Culturale San Fedele. Una scelta che
si ripresenta nel titolo di una ideale minima antologia del nostro
(Canzoniere dell'anima, appunto), pubblicata a Milano per i tipi di Miano
Editore – Milano, con una rigorosa introduzione di Maurizio Cucchi, il quale
segnala le genealogie (ad es. Rebora) e le contiguità dello scomparso poeta
Alessandro Miano siciliano (con Betocchi, con Nelo Risi o Luciano Erba) e la sua
sostanziale appartenenza alla cosiddetta "quarta generazione" del
nostro Novecento poetico.
Nato nel 1920 a Noto (Siracusa), “urbs ingeniosa”, Alessandro Miano è
stato a suo tempo animatore e direttore di una rivista catanese degli anni ‘50
alla quale appose il nome Davide, rivista sociale di lettere e arti. Una rivista
interdisciplinare, dunque moderna, nelle cui pagine si vennero alternando
saggisti del calibro di Enzo Paci, Carlo Bo, Angelo Romano, Giorgio La
Pira, Cornelio Fabro e anche gli allora relativamente giovani Pier
Paolo Pasolini (con la lirica Crocefissione) e Leonardo
Sciascia (Favole della dittatura). "Davide", era una di
quelle pubblicazioni in atto di esprimere adesione ai valori dell'intelligenza e
alla forza della cultura, capace dunque di arricchire la nostra vicenda e la
crescita nazionale con apporti provenienti dalla periferia, dalla pasoliniana
“umile Italia”.Uno degli articoli pubblicati da Miano si intitolava
significativamente Coscienza ed arte. Archiviata nullameno per esigenze
di forza maggiore l'esperienza di "Davide" (tutto inizia infatti per poi
terminare), il giovane intellettuale si volse alla poesia dedicandole la
totalità del proprio tempo e conferendo accenti e ritmo coi suoi versi al mondo,
agli uomini e alle cose, ma altrettanto alla memoria e allo spirito. "Chi ha
voce / a domandare.... / e chi sa / più ricordare. ... / fondo fosso, rotto
mare / il mio cielo è rattrappito / spalle curve, curve d'uomo", recita una
delle sue liriche. Quegli che ha voce per domandare è evidentemente il poeta; e
appunto la sua voce, quando "riemersa" dal profondo, sa rimemorare le immagini
labili e fuggitive che camminano sull'asse del tempo. Abbandonandosi felicemente
a una metodicità espansa, in cui si rievocano i secoli antichi della nostra
letteratura e dove si recuperano accenti di spiritualità dei quali Gaetano
Chiappini ha ritenuto di poter indicare le fonti nella mistica ispanica. E in
effetti ciò che oggi continua a colpirci di Alessandro Miano è un'intramatura
musicale che fa tutt'uno con la forza del linguaggio; che sa far discendere la
propria abilità pluritmica sino alle note intime, sino alle radici delle parole
e poi trasportarsi da quelle scaglie terrene verso una intensa luce cosmica. "O
trame di rami rapidamente / o ridda rissosa di foglie".
C'è in lui la levità
della lirica mediterranea nostrana (Gatto e Quasimodo: ed è questa una linea
sulla quale si dovrebbe lavorare) ma anche una straordinaria agevolezza melica,
tant'è che alcune sue composizioni sono riuscite a entrare con assoluto agio
nella lingua musicale di Bruno Bettinelli, Silvia Bianchera e Luciano Chailly.
Alessandro Miano, poeta "davidico" (in ideale raccordo con quella rivista da cui
ha preso i primi passi la sua vocazione letteraria), appartiene a quella
famiglia di autori per i quali scrivere anche laicamente del mondo è un
esercizio ascetico.
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