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[…] Lucio Zinna è il settimo poeta su cui ci soffermiamo in questo percorso. Zinna si è scavato nell’arco di un lavoro ormai trentennale un suo luogo ben preciso e autorevole nella poesia italiana di questi nostri anni attraverso una scrittura che si è andata sempre più consolidando, definendo: una scrittura che, come ha scritto Raffaele Pellecchia, si fa in virtù di una «mobilità espressiva», di una «varietà lessicale» e infine di una «compresenza di stilemi ora mutuati dal parlato ora derivati da una cultissima fonte».

Anche l’ultimo libro Bonsai, che raccoglie il lavoro dal 1984 al 1988, ribadisce la predisposizione del poeta ad assemblare i diversi registri, sicché la risultante è un personalissimo dettato che procede di lirica in lirica e all’interno della stessa lirica sostenuto e compatto, mobile e graffiante, doloroso e inquieto e irriverente accompagnando il viaggio del poeta che si snoda « [tra] ironie e sbandamenti, tra accensioni liriche e spirituali risalite, fino alla riscoperta dell’uomo interiore e al recupero degli altri, seppure nella gelosa difesa della propria relativa solitudine, su un piano di superiore capacità di intelligere e di umana compassione. » Proprio su quest’ultima componente,l’umana compassione cioè, vogliamo soffermarci, perché essa è pneuma, è soffio vitale in questa raccolta di Zinna sia quando il poeta scrive liriche di risentita commozione (da Ballata atipica del poeta paladino in memoria di Rolando Certa ci piace citare i versi finali in cui la morte vince infine la sua tenzone: «stava per vibrare il nuovo colpo colse un disarmato | sorriso di fanciullo la joie de vivre raccolta | in un frammento dell’iride sgomenta e intatta...») sia quando canta la dolce-odiata Palermo (cfr. Filastrode per Palermo multipla) sia quando affronta attraverso un elegante e padroneggiato gioco linguistico il tema d’amore (cfr. Amoreumore), amore visto come solare ilare umorale vicissitudine collocata nella natura, sia quando si dedica al fulminante epigramma (Ad Alfio Inserra: «la poesia è un fiore esclusivo | che in serra coltivo | Al quotidiano ritmo | con acqua di fonte − | riguardoso e costante − | lo innaffio»). E così via.

Insomma, una poesia oscillante tra passione e compassione, quindi una poesia che non giunge mai neutrale ed inerte al lettore che si sente ogni volta richiamato imperiosamente dalle ragioni del testo, sicché è costretto al coinvolgimento, a schierarsi. La lirica in cui si precisa meglio la compresenza di passione e compassione è Il prossimo tuo, lirica d’apertura della raccolta, corrosiva lirica e insieme piena di una sua dolenza di fondo che la tenuta razionale del dettato controlla ed esalta: «Il mio spesso mi graffia si fa disamare | mi affonda i dentini − nosferatu − io mi ferisco | ricambio rammento mi scordo riprovo giro al largo. | Chiedo una foglia e m’è negata o concessa quasi | fosse − che so − d’oro di platino. Quando a me vengono | per un albero grande mi compenetro rischio poi li vedo | tornarsene lievi nemmeno portassero via un bonsai. | Ho disimparato a misurare il prossimo a centimetri. | Non tutti che mi stanno accanto mi sono prossimi. | Prossimità è corrispondenza interiore sintonia. | Può essere distanza − lontananza mai.»

Lucio Zinna distilla i versi con rara parsimonia. Ogni lirica è in sé conclusa, pezzo finito che può circolare autonomamente: naturalmente l’insieme delle liriche allarga e slarga le singole composizioni, ma per noi sa sempre di miracolo questa poesia che attinge ogni volta in se stessa una sua autonoma compiutezza.

Ma Zinna è anche poeta che conosce la tenerezza: questa viene da lui celata, mimetizzata d’accordo, ma di continuo essa balza fuori dal corpo del testo. Sono filigrane che equilibrano la vis polemica, urticante della raccolta, un segno ulteriore della compresenza e della simultaneità di un’ispirazione che si nutre e vive di molteplici risonanze.
Recensione
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