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Cameroni, il critico milanese amico di Zola

 

Felice Cameroni, l'amico di Zola e dei Goncourt, caro egualmente a Giovanni Verga e a Gian Pietro Lucini. Critico radicale e, in arte, propugnatore del realismo, viene oggi riletto e studiato soprattutto per la sua funzione mediatrice e la sua particolare posizione ideologica.

 

Nato a Milano il 4 aprile 1844 da Giuseppe e Fioralba Centemeri, era figlio di un impiegato della Cassa di Risparmio; seguì la professione paterna, accostandola all’attività di pubblicista e di critico letterario, nella quale fu impegnato per più di trent’anni. Svolse infatti un’intensa opera di collaborazione sui periodici e quotidiani milanesi della sinistra repubblicana ed anarchica, iniziando nel 1869 il suo curriculum di critico con articoli di cronaca teatrale sulla «Unità italiana», organo mazziniano. È da segnalare tuttavia che la sua collaborazione più duratura ed intensa fu al «Gazzettino rosa», quotidiano repubblicano mazziniano, poi anarchico, fondato da Achille Bizzoni e Felice Cavallotti, nel quale abitualmente egli scriveva, firmandosi con lo pseudonimo di “Pessimista”, una rubrica fissa, Vocabolario di uno stoico.

«Al “Gazzettino rosa” il Topo di biblioteca farà vedere come sappia amar Milano e la letteratura francese di ultimissimo garbo»[1].

Dal 1871 al 1875 collaborò al periodico «La Plebe», fondato da Bignami, nel quale si occupò di teatro, musica e letteratura e tradusse opere di Janin, Saint-Victor e Houssaye.

Sempre nel 1871 iniziò, con la rubrica fissa La letteratura drammatica, la sua collaborazione di critico teatrale all’«Arte drammatica», settimanale diretto da Polese Santernecchi; su questo giornale, oltre che della cronaca drammatica, il Cameroni si occupò anche di letteratura italiana e straniera, in articoli firmati con vari pseudonimi: Lo Stoico, Atta Troll, l’Appendicista, l’Orso, Huanofobo (odiatore dell’azzurro).

La collaborazione terminò nel 1880 a causa di un dissidio con il direttore, in quanto il Cameroni utilizzava gli stessi articoli anche per «Il Sole», una rivista commerciale, agricola, industriale, organo della Camera di Commercio di Milano diretto da P. Bragiola. Presso «Il Sole», la collaborazione del Cameroni durò fino al gennaio 1906.

Dal 1876 al 1883, il Cameroni scrisse anche su «La Farfalla» diretto da A. Sommaruga. Quando, nel 1882, il giornale fallì e venne rilevato da I. Del Buono, il gruppo dei redattori si trasferì attorno a «La nuova Farfalla», nata il 7 maggio 1882 e diretta da E. Quadrio. Allora, i due giornali si fusero sotto il vecchio titolo il 27 maggio 1882, e il Cameroni continuò le sue collaborazioni nelle rubriche Cronaca letteraria e Curiosità in prosa, finché «La Farfalla» venne assorbita da «l’Ateneo italiano» di Forlì nel 1883.

Durante il 1878 il Cameroni collaborò alla «Rivista repubblicana», quindicinale diretto da A. Mario, in cui il Cameroni si occupava ancora di letteratura italiana e straniera e sporadicamente di politica, in chiave repubblicana ed anarchica.

Nel decennio 1880/1890, la sua attività pubblicistica diventò più saltuaria: scriveva solo alcuni articoli sulla «Farfalla» e curava solo le appendici de «Il Sole»; ciò non solo per cause esterne, e cioè per la crisi di un certo giornalismo, ma anche per le cattive condizioni di salute dell’autore stesso.

Gli si manifestò infatti una malattia nervosa, curata in lunghi periodi di riposo allo Stelvio e poi con i viaggi: a Parigi nel 1889, anno in cui conobbe Zola, in Austria, in Germania nel 1891, e attraverso l’Italia fino in Sicilia, nel 1892.

«Ed egli peggiorò la propria malattia, che certo ereditò dai suoi, col violentare ed il desiderio del suo istinto e il diritto del suo spirito che volevano espandersi. Ebbe paura di se stesso, o, tanto meno, del ridicolo che la sua bruttezza, in cerca di affetto e di commosse affinità morali, poteva suscitargli da torno. Incominciò a diffidare della propria volontà». Altrove si legge ancora: «La malattia lo fece suo: gli impose stranezze, differenti fobie, l’ipermanie, lunghe passeggiate pedestri, solitarie, tedii, propositi contro di sé, violenti. Soffrì atrocemente: i suoi nervi, diceva, sfuggivano alla sua volontà. Era come alcuno che camminasse colli occhi aperti, senza vedere, assorto in un suo sogno nero; era la sua filosofia tenebrosa che si era esteriorizzata; proiettata fuori in immagine spaventosa; egli si viveva in mezzo»[2].

Dal 1893 il Cameroni tornò alla sua attività di pubblicista, collaborando fino al 1898 a «La Critica sociale» diretta da F. Turati.

Nel maggio del 1900 si recò di nuovo a Parigi per visitare la Esposizione; trascorse gli ultimi anni in solitudine frequentando i vecchi amici E. Quadrio, direttore de «L’Unità italiana», e L. Ellero. Morì a Milano nella notte tra il 3 e 4 gennaio 1923.

Altre notizie biografiche possono essere ricavate nell’articolo che l’amico di Cameroni, G. P. Lucini aveva scritto per la sua morte: «Felice Cameroni, che rimaneva per undici mesi all’anno appollaiato all’ultimo piano del n. 23 di Portico della Galleria come l’Hibou di Mercier vigilando Milano notturna e diurna, pel dodicesimo – lo sceglieva nella buona stagione, d’estate – si dava a viaggiare.

La passione peripatetica di riconoscere e sentire in proprio li stranieri e le altre patrie, ereditò da Stendhal! Ogni volta che si recava a Parigi, non trascurava mai il doveroso pellegrinaggio a Montmartre, alla tomba»[3].

Il Lucini ci offre anche una descrizione dell’abitazione del Cameroni: «Unica chiamerei questa ampia sala quadra e bassa di volta che la luce da quattro finestre tonde, a fil di pavimento lucido e freddo marmorino, come una Hall di transatlantico. Nei giorni di sole ne era inondata; nei dì di nebbia, non infrequenti a Milano, sembra viaggiasse senza rullio e beccheggio per un mare grigio e denso, iperboreo. Sopra il mobiglio semplice ricchezza di arte: ritratti all’acquaforte di Zola, dei Goncourt con le loro firme autografe; pastelli di Rapetti; acqueforti del Conconi e del Grubicy; l’autoritratto del Segantini; gessi del Grandi, del Troubetzkoi, il busto in marmo della madre, l’altro in bronzo del padrone di casa; fotografie e stampe di amici letterati italiani e francesi; vedute di Parigi del Barabandi: dell’edera verde a bever la luce vicino alle finestre. Una testa di vecchia, tra due cortinaggi, ammiccava nel bronzo ruvido, una delle prime opere di Medardo Rosso allora ignotissimo quando la plasmò, oggi, voluto a torto istitutore di Rodin.

Negli ultimi tempi, in un angusto studiolo che precedeva il salottino, sopra un panchetto, aveva messo, di fronte alla poltrona su cui sedeva solitamente, appaiate, la copia della bella testa di Cristo di Guido Reni ed il ritratto di Francisco Ferrer, ambo martiri adorabili del Libero pensiero; ed alle immagini offriva fiori»[4].

FRANCESCO DI CIACCIA



[1] G. P. Lucini: Felice Cameroni (Ricordi e confidenze), ne «La Voce», 23 gennaio 1913, anno V, n. 4.

[2] G. P. Lucini, op. cit., pag. 996.

[3] G. P. Lucini, op. cit., pag. 996.

[4] G. P. Lucini, op. cit., pag. 996.

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