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Fenomenologia del Protestantesimo. Realtà e irrealtà della cultura
protestante in Italia
Agonia o sopravvivenza del Cristianesimo nel Villaggio globale. Tesi su:
L’Illuminismo, l’«uomo moderno», il Cristianesimo
Schiavitù e liberazione, in Paolo e nella dialettica marxista
Per conoscere i fratelli protestanti
In
Fenomenologia del Protestantesimo
l’autore traccia un quadro molto chiaro delle
principali chiese protestanti dal punto di vista del pensiero e degli sviluppi
storici, evidenziando anche, con grande lucidità, le differenze tra le varie
teologie, fino agli effetti che alcuni principi hanno avuto sull’evoluzione e
sulla situazione attuale del protestantesimo. Circa le dottrine cristiane
l’autore distingue quelle che riguardano solo determinate confessioni religiose,
quelle che riguardano tutte le confessioni protestanti e quelle che sono
possedute in comune da protestanti, ortodossi e cattolici. L’autore considera
infine la difficile identità del protestante italiano, combattuto tra la
subordinazione a un modello straniero – oggi, soprattutto statunitense – e la
ricerca di un proprio inserimento autonomo e vitale nella cultura del Paese. In
Agonia o sopravvivenza del Cristianesimo nel Villaggio globale
l’autore pone, in forma di proposizioni concatenate, inquietanti interrogativi e
fissa lapidarie asserzioni su alcuni punti fondamentali della storia religiosa,
all’interno della storia culturale, dell’occidente: sul concetto di “uomo
moderno”, su “Illuminismo e cristianità”, su “cristianità e cristianesimo”.
Svolgendo passo dopo passo le sue considerazioni, l’autore fa intendere che la
funzione del cristianesimo è quella di “annunciare” il futuro – il “regno
celeste” -, e non quella di realizzare una “società” presente; egli sottolinea
quindi l’interiorità del cristianesimo, che passa attraverso la “parola di Dio”,
a differenza di altre religioni che tendono a costituirsi realtà di “costume” e
nelle quali la via di appartenenza è data dalla prassi della società, dalla
“eredità” e tradizioni. Molto stimolante, questo libro di Giovanni Borelli
merita di essere letto e meditato da tutti coloro che vogliono capire un po’
l’intreccio problematico tra “storia” – cioè storia del mondo, delle sue
culture, con le leggi della formazione del potere e del consenso – e
“messaggio”, tra salvezza “societaria” e salvezza personale.
Mi fa
piacere qui rilevare che diverse problematiche esposte in questi testi del 1991
hanno un fondamento in un libro precedente del medesimo Autore. Lo faccio
presente non già perché il contenuto delle varie opere sia identico, ma perché
voglio sottolineare l’impegno intellettuale di Giovanni Borelli su questioni che
attengono al cristianesimo in relazione alla cultura del mondo in generale e in
particolare moderno e contemporaneo. L’opera che rammento, del 1978, si intitola
Schiavitù e liberazione, in Paolo e nella dialettica marxista, Genova,
Editrice Lanterna (Biblioteca di studi storico-teologici), 1978, pp. 160.
Il concetto
di “libertà” si sviluppa a partire dalla circostanza, all’inizio del
cristianesimo, in cui l’apostolo Paolo scrive al cristiano Filemone di
accogliere lo schiavo Onesimo, il quale, fuggito da Filemone stesso, che era il
suo padrone, si era poi convertito ed era stato battezzato da Paolo. L’Autore,
riflettendo sui principi di libertà, di trascendenza e di carità, perviene ad un
concetto di “patto sociale” che, nella comunità cristiana, presenta una
peculiarità fondamentale. Egli scrive che “l’elemento
aggregante di questo «patto sociale» è
il Signore e la sua chiamata alla
libertà. L’eguaglianza che nasce da questa
chiamata non è una eguaglianza per convenzione e per diritto, ma reale,
concreta, potremmo dire «naturale» perché
dinanzi all’assoluto rappresentato da Dio
scompaiono le nostre differenze razziali
ed economiche, e queste differenze
non devono scomparire soltanto nelle parole,
ma anche nella prassi concreta della comunità cristiana che
all’occorrenza deve saper dividere i suoi beni materiali affinché
l’eguaglianza non sia solo una vuota parola,
ma l’essenza stessa della libertà. La possibilità di giudicare o anche di
comandare «in Cristo» e non per i propri
meriti economici o morali è uno dei fondamenti di quella che è stata definita
«fratellanza cristocratica», in parole povere: il rifiuto di voler dominare i
propri simili” (pp. 31-32).
Quest’ultima considerazione
scaturisce dal fatto che Paolo apostolo, chiedendo a Filemone di accogliere
Onesimo, si è richiamato alla carità. A questo punto, però, l’Autore deve
affrontare l’obiezione di chi attribuisce ad una siffatta struttura
“l’appellativo dispregiativo di «socialismo pretesco»”, che, in una visione
cristiana di trascendenza, relega nella categoria di “oggetto” l’uomo, inteso
non come fine dell’azione umana ma come semplice “mezzo per raggiungere Dio” (p.
34). L’Autore al riguardo osserva che “il rapporto tra Dio e uomo è un rapporto
bilaterale tra soggetto e soggetto così che anche il rapporto tra uomo e uomo è
un rapporto che, alla luce dell’agape, si instaura tra due soggetti”, e
infine stabilisce il concetto di “trascendenza” non già come “Essere-in-sé”, ma
come “Essere-per”, cioè l’Essere che “apre al futuro” cui è destinato il mondo
(p. 35).
Non è solo questo uno dei
concetti fondamentali che l’Autore propone di riformulare. C’è anche quello,
essenziale, della distinzione tra Dio e religione. Affiancando il proprio
pensiero, in ciò, a filosofi contemporanei, egli si ritiene convinto che “tra
Dio e religione ci corra parecchia differenza e che il cristianesimo non è una
religione” (p. 94). Ed è proprio salvaguardando questa differenza che il
cristianesimo potrà sopravvivere. Per fare ciò, il cristianesimo però deve
rivedere tutta la sua base storico-culturale. “[…]
nella misura in cui la teologia cristiana diventa lo
strumento di difesa della istituzione ecclesiastica contro le critiche che ad
essa venivano rivolte (non importa se da sette eretiche o liberi pensatori o
operai rivoluzionari) oppure si trasformava in «scienza» accademica per futuri
«impiegati» ecclesiastici amministrata da professori universitari questa si
staccava dalla vita quotidiana degli individui, finendo col diventare un «mondo»
culturale a parte con la sua logica interna, le sue regole, ed un suo linguaggio
da iniziati sostanzialmente estraneo alla vita umana” (p. 151).
[Francesco di Ciaccia, Per conoscere i fratelli protestanti, recensione di Giovanni Borelli,
Fenomenologia del Protestantesimo. Realtà e irrealtà della cultura protestante
in Italia, Prefazione di Attilio Agnoletto, Milano, Montedit, 1991, pagine
62, e Idem, Agonia o sopravvivenza del Cristianesimo nel Villaggio globale.
Tesi su: L’Illuminismo, l’«uomo moderno», il Cristianesimo, Prefazione di
Pietro Bolognesi, Postfazione di Arnaldo Nesti, Milano, Montedit (Koiné
religioni), 1991, pagine 96, con aggiunta di Idem, Schiavitù e liberazione,
in Paolo e nella dialettica marxista, Genova, Editrice Lanterna (Biblioteca
di studi storico-teologici), 1978, pagine 160, «Rosetum», 11 (1992) pagina 29.].
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