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Padre Pio nel cuore

Padre Pio nel cuore”: già il titolo rivela l’approccio particolare con lo stigmatizzato del Gargano.

Non già un Padre Pio taumaturgico, un santo strabiliante, è quello di cui l’autore tesse le fila della vita. Resta assodato, ben inteso, che l’uno l’altro volto – la realtà dei miracoli e la santità eccezionale – sono sottintesi e spesso sottesi in tutta la trama agiografica; ma l’occhio attento dell’autore si appunta sostanzialmente sull’uomo Pio da Pietrelcina in quanto tale: uomo che ha sofferto, uomo che aspettato, uomo che ha gioito a volte, e spesso ha pianto.

L’autore, Giovanni Scarale, penetra così all’interno di un’anima tesa tra il travaglio interiore e il dolore dell’umanità intorno a lui. In effetti quella di Padre Pio non è per nulla una storia semplice, come spesso inclina o è indotto a pensare chi ha in mente soltanto qualche evento esterno, sia esso banale, sia esso fenomenale, entro cui, pesantemente e trucidamente, si è solidificata la sua immagine nel mondo: un frate che, vissuto costantemente in un determinato convento, ha ricevuto un bel giorno stigmate e poi ha fatto tanti miracoli. Quasi uno dietro l’altro. Padre Pio: il frate delle stigmate e dei miracoli a cottimo. Padre Pio è invece un uomo: e quindi è un enigma.

Come tutti gli uomini. Con un particolare in più: è un enigma un po’ di più. Come tutti gli uomini che hanno vissuto, nel loro fondo, un po’ di più. Ma prima di considerare questo aspetto, è il caso di focalizzare subito che “nel cuore” Padre Pio lo è anche nel senso che egli è dentro l’animo stesso dell’autore. Giovanni Scarale è colui che, alla morte di Padre Pio, ha composto di getto i suoi ennesimi versi sul frate, realizzando una lirica che poi è stata fatta incidere dai frati cappuccini sul blocco di pietra nell’emisfero della Via Crucis monumentale, a destra della statua di Padre Pio scolpita da Francesco Messina. Per comprendere lo spirito con cui l’autore ha stilato la biografia, è utile leggere proprio questa poesia, Ora Padre Pio è in noi:

Ripeteremo giorno per giorno,
ora per ora, minuto per minuto,
per quanti ce ne restano,
e gli altri ripeteranno agli altri
per quanti ne verranno
di uomini che la terra inchioda,
la tua gloria di sangue.
Hai dato gioia al dolore,
vita al silenzio,
certezza di Dio
a un secolo senza fede.
Per te, o Padre Santo,
il Monte ha la sua voce
nelle tue rose di sangue,
nel profumo che dal tuo corpo
si diffonde nel mondo.

In genere di Padre Pio si parla in termini mirabolanti.

Ma nell’ambito dei miracoli è necessario, per chi ne parla in privato, un intimo pudore; per chi ne parla in pubblico, un giusto senso critico. Nell’ambito del paramistico, poi – o del paranormale, come si preferisce dire oggi -, occorre saper cogliere la misura. Io stesso sono stato testimone di risposte di Padre Pio, date a chi si rivolgeva a lui come a un mago o ad una Sibilla, le quali erano invece della più disarmante ovvietà: risposte che avrebbe potuto offrire, tali e quali, qualsiasi altra persona di buon senso, fosse il vicino di casa, o il confratello, o la comare e qualunque portinaia. Padre Pio è un santo, perché fu un semplice che fece grandi cose: ma dentro di sé.

Innanzitutto. Sulla sua semplicità di uomo, io stesso ebbi a scrivere in «Vita Minorum» nel novembre-dicembre 1983, e mi piace ricordarne solo un episodio tra quelli che pubblicai in quella occasione. Trovandomi con lui, da solo, nella saletta in cui passava in genere il tempo dopo pranzo – il tempo in cui i frati vanno a riposare -, e dopo che sedemmo, vicini, a lungo, senza parlare, gli domandai: “Ha qualcosa da dirmi, di cui mi debba ricordare?”. Ed egli: “No. Non sono io che devo dire qualcosa”. Poi incominciarono a venire molte persone; e incominciarono a chiedergli le solite cose: chi a chiedergli che cosa doveva fare, perché aveva una certa malattia; chi che cosa fare, perché ne aveva un’altra; chi a chiedergli dove mandare i figli a scuola... In realtà, Padre Pio era un semplice. Ed era, come tutti, curioso. Mentre seguiva, dal coretto che è a lato della navata, in alto, la recita del rosario che si svolgeva in chiesa, lo vidi ogni tanto, una volta che vi fui ammesso, curiosare verso la chiesa, sporgendosi per vedere ora qua, ora là, tra la folla. Mentre recitava il rosario.

Una personalità come Padre Pio va indagata al di fuori degli aspetti sensazionali. Giovanni Scarale va appunto al cuore. Al cuore di una storia che presenta un enigma già all’inizio del suo inserimento tra i cappuccini: gli fu concesso di emettere la professione solenne cappuccina, pur essendo egli malato e pur dovendo vivere spesso in famiglia, invece che in convento. Ciò non era conforme con l’ordinamento dell’Ordine.

E, ancora, che cosa dovette avere quel frate, pur senza stigmate e senza miracoli, per essere ordinato sacerdote, senza aver seguito i corsi regolari, e obbligatori, di teologia? In seguito, Padre Pio non ha dato alcun appoggio alla propria notorietà, se non in un modo: col silenzio. Neppure una predica: neppure una di quelle prediche che servono tanto, con tante belle parole, a trascinare le folle e a commuovere gli animi incantati, e che rendono famosi tanti parolieri.

La sua fama si diffuse mentre egli taceva. Le stigmate, d’accordo. Ma, appunto, quale segreto, dietro le stigmate? E’ quello che ha messo in rilievo Scarale: vivere il dolore. Come strumento di grazia. Da ciò, esattamente, il dono di trasformare in letizia il dolore.

Dolore e silenzio di Padre Pio, anche in occasione delle persecuzioni nei suoi confronti da parte della Curia ecclesiastica; in qualche caso, da parte dei suoi fratelli di vita e di mensa. Vivere in sé il dolore, profondo e drammatico, conduceva Padre Pio alla solidarietà con l’uomo del dolore. La sua “debolezza” fu patire per l’umanità sofferente, e per i poveri della umanità.

Incominciando con i compaesani di San Giovanni Rotondo. Solo in questo orizzonte sembra che Padre Pio abbia voluto compiere qualcosa “di suo”, nel senso di impegnarsi fattivamente sul piano anche sociale. L’ospedale – divenuto poi grandioso e monumentale – è in effetti la sua “creatura”, e sembra che per lui fosse la creatura più cara.

[Francesco di Ciaccia, Padre Pio nel cuore, recensione di Giovanni Scarale, Padre Pio nel cuore, Milano, Rusconi (Gente nel Tempo), 1998, pagine 264, «Rosetum», 1-2 (1999) pagine 19-20.].

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