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A dir la verità Ernesto Papandrea, almeno per quanto concerne
la sua indole poetica, lo conosco fin troppo bene per non allinearmi
all’eloquente constatazione esternata a caratteri cubitali da Gabriella Frenna.
Constatazione che funge da titolo al presente saggio. Nel 2004 avevo letto e
positivamente criticato quattro suoi testi (Gli errori cambiano la vita;
Trafitto dal dolore di vivere; Questo mondo sepolto nel maligno; e
Nello splendore della fede), che, quali sue stigmate, denotano a tutto
tondo e fin dal titolo, appunto, un "anelito spirituale" innegabile e
perfettamente acconcio ai valori cristiani, come giustamente si rileva a pie’
sospinto nell’opera in disamina.
Questa pubblicazione, che catalizza un saggio di natura
critica su un insieme di sette pubblicazioni di Papandrea sembrerebbe improprio
catalogarla come Opera Omnia. Perché, stando a quanto introduce la Frenna,
che un’opera omnia gli attribuisce, devo osservare che, a conti fatti, le
quattro sillogi del Papandrea di cui ho appena specificato i titoli (ne ho copia
tuttora in mio possesso!), e che non vedo in nessun modo citate in questo
contesto, mi sembrerebbero essere più della metà del materiale che costituirebbe
la sua opera omnia. Ma posso credere (concedendo che sia così) che le quattro
raccolte da me, a suo tempo, recensite possano aver subito, per mano del
Papandrea, un cambiamento nel titolo.
Le raccolte che, secondo Gabriella Frenna,
costituirebbero l’opera omnia di Papandrea s’intitolano: All’ombra del
ciliegio in fiore; E vestiva la porpora di bisso; Il deserto
dell’anima; Il grano e la zizzania; La ricompensa nei cieli;
La vita mia; La vita per gli altri.
Siccome per ognuno dei titoli citati è stato pensato un
capitoletto ad hoc, ne è emersa una realizzazione in sette sezioni nell’ordine
progressivo in cui ho elencato i rispettivi titoli da lei recensiti, con
l’aggiunta di un’Introduzione e di una Conclusione, sempre a cura della
medesima.
Tutto
sommato, il costrutto critico su Papandrea, della Frenna, è concentrato, per
ogni singolo capitolo, su alcuni cruciali versi, che fungono da bersaglio ad una
critica all’inizio, per certi versi, interessante ma via via più monotona, in
quanto ripetitiva, se non nel precipuo concetto critico almeno nella carenza del
linguaggio, sia esso strettamente tecnico che propriamente letterario,
risultando di volta in volta sempre più ovvio, in definitiva scontato. | |
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Recensione |
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