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Stramenia
Stramenia
è l’ultimo gioiello di poesia
di Lucio Zinna: un’agile raccolta di nove poesie, di alto spessore spirituale,
che appare in edizione d’arte di 199 copie numerate nella finissima collana
“Coincidenze” di Arca Felice, corredata da disegni e dipinti di Eliana Petrizzi.
La poesia è deputata a
stimolare e trasmettere emozioni aiutando nel contempo a far riflettere e il
poeta Zinna, in questo suo lavoro, si interroga sui tanti perché dell’esistenza,
riversandoli sui versi con sonore vibrazioni. « La poesia di Lucio Zinna scopre
sempre una nuova verità, sfuggita ai più, compie perciò il suo itinerario,
motivata dalle scoperte interiori e dal calore che evocano le parole, scelte,
filtrate, eppure libere, nel gioco di versi fluidi, armoniosi, sebbene di
profonda complessità tematica e strutturale.» Questo giudizio critico di Marzia
Alunni mi sembra come una freccia che colpisca in pieno l’anima dell’opera dopo
un’attenta e ponderata mira.
Sulla poesia gravano
generalmente, presso il grosso pubblico, pregiudizi difficili da fugare, spesso
derivati da cattive interpretazioni maturate sui banchi di scuola. Ad esempio,
che quello della poesia sia un mondo misterioso, tutto a modo suo, e i poeti che
lo abitano siano un po’ come dei sognatori, idealisti e fantasiosi. O che il
poeta sia una persona speciale ma triste, sensibile ma ferita dentro, che ama
tormentarsi per mille ragioni (fallimenti amorosi, difetti fisici, orfanezze
etc.). A scuola ci hanno fatto intendere che le opere del poeta siano delle
belle idealità o una sorta di rivalsa per frustrazioni subite. Non esiste invece
persona così fiera, equilibrata, leale e piena di vitalità e di spiritualità
come il poeta, il quale sopravvive meglio ad ogni dolore, vive intensamente il
suo rapporto con la vita, col suo prossimo e col suo tempo, del quale riesce a
metabolizzare i mali. Un buon incassatore, come certi pugili che, in attesa di
una prossima ripresa, non abbandonano il proprio posto e non gettano la spugna.
Gli scritti del poeta testimoniano la volontà, l’impegno a capire il mondo e
possibilmente migliorarlo, migliorando se stessi. Dice Zinna nella poesia
Guglielmo o della 'sognagione' (dedicata all’amico poeta Guglielmo
Peralta): «È sempre tempo di semina | perché è perenne tempo di crescita».
La funzione del poeta
(interprete del suo tempo, come diceva Pier Paolo Pasolini, “scriba” della
contemporaneità, come per Mario Luzi) è anche quella di stupirsi e farsi
espressione, attraverso la parola poetica, di questo stupore. Stupirsi ancora (e
perché no?) delle meraviglie del creato e di tutto ciò che alberga nell’uomo e
vive attorno a lui. Non può darsi poesia senza una visione del mondo e del resto
il poeta è un ricercatore di verità. Verità da cogliere, oltre che in se stessi,
anche negli aspetti più reconditi della natura e della società. E i versi
possono fungere da grimaldelli: «Quante volte i versi frugano | nell’anima, si
incuneano | a capirne vibrazioni | a leggerne il reticolo di pieghe | in
incognite chiromanzie» (Squarci). E la poesia può farsi strumento di
smascheramenti più o meno nietzschiani: « Il bello della poesia da vivere | non
solo da scrivere risiede anche | nel grattare il similoro. Che versi vuoi | si
distillino da un’umanità | interiormente blesa che sfalsa l’essere | e salva
l’apparire », scrive Zinna in Mutare in pendici. « Il poeta – scriveva
Pascoli – è colui che vede le cose ancora piccole e lontane con le sue lenti
d’ingrandimento mentre altri ancora non vedono nulla ». Scrive Zinna: « I poeti
sanno | di altre strade e altro vento | di percorsi sghembi | dai fossati
impraticabili | e li attraversano | perché sia tutto tentato | ogni viaggio
sempre | nel verso del verso » (I poeti vanno).
Il poeta vive il suo
rapporto con Dio tramite la poesia, al di là dall’essere o sentirsi pesce nelle
placide acque di una religione. La poesia di per sé è energia cosmica dell’amore
del creato e per sua natura non può andare contro il creato né contro il
creatore. La sua stagione di fede è di un livello spirituale e culturale, non
omologabile a quello della massa. Una fame di sapere e di fede troviamo negli
scritti dei poeti sempre in crescente ricerca, i quali scavalcano qualche volta
la dimensione ortodossa della religione stessa. Occorre non scambiare il poeta
per un viaggiatore solitario e stravagante. Il suo punto di vista sulla fede e
sulla religione (ma vale per qualsiasi altro aspetto), è quello di un
indagatore, il quale si serve dello stacco formale, un uscire dalle righe per
tentare un percorso di analisi che induca a risultati ulteriori. Ma ahimè questo
suo atteggiamento, non allineato alle folte schiere d’impenitenti e bigotti
assidui frequentatori di chiese, può costargli qualche volta biasimo e
indifferenza, anche (e non solo) da parte di qualche prelato.
Una fede che non dubita è
una fede morta, diceva San Paolo. E chi più del poeta oggi vuole vederci chiaro
sulle questioni della fede? Chi più del poeta è desideroso di sinceri contatti
con l'Eterno, al di là di formule e statue rimaste inalterate nei secoli? Dio
non pretenderà mai da un uomo di scienza o di lettere lo stesso culto che può
prestare un ragazzino che si prepari alla prima comunione. Ogni approccio con la
fede e con Dio è sempre personale, legato e nutrito da un’altrettanta personale
condizione culturale e spirituale. Diversi sono i livelli spirituali e culturali
da persona a persona e altrettanto diversi saranno i rapporti con Dio. In
passato è stato facile additare come atei coloro che non frequentavano chiese e
non seguivano culti o che in quelle chiese e in quei culti non trovavano serena
abitazione per la loro anima. Il poeta è non più l’ubbidiente bambino come molti
sono rimasti nell’anima, è cresciuto in molti ambiti, ma è rimasto desideroso
come allora di amare e di sentirsi amato; desideroso di sapere dov’è Dio e
quando non lo trova dove si nasconde e perché. « Sarà capitato di muoverci |
nello stesso quadrilatero | ti avrò sbirciato | all’ingresso di un bar |
all’angolo del ferramenta | avrai finto di non vedermi...|| Le chiese mi narrano
di te | in suggestive atmosfere | ne salgo i gradini speranzoso | li discendo
deplorando mie | insensibilità (mi paiono luoghi | d’intimo colloquio per chi
con te | è già in confidenza). || Ti cercherò ancora dentro di me | come in
piazza in ora antelucana », come nella poesia Da qualche parte.
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Recensione |
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