Servizi
Contatti

Eventi


“Morte Annunciata”
(Alluvione di Giampilieri, Scaletta Zanclea, Itala, Briga, Pezzolo, Altolia, Molino - 1 ottobre 2009)

Ci vuol fegato e giusta disposizione d’animo quando ci si appresta a leggere di cataclismi e morte e ancor di più quando il tono di quanto si legge non viene dall’incisivo, crudo linguaggio del cronista, che siamo abituati a gestire, bensì da quello appassionato, prudente, rispettoso e lirico di un poeta.

In quei casi, poi, in cui la posizione di lettore coincide con quella di chi analoga esperienza ha reso forte, una spessa corteccia riveste il cuore, lo espone, coraggioso, al soffiare impetuoso del vento forte, alla morsa impietosa del gelo che vuole sigillare, alla calura asfissiante che prosciuga ogni umore dalle nari e dagli occhi.

Il 1° ottobre 2009 un fiume di fango investe il territorio di Giampilieri, nel messinese. Subito le prime pagine dei giornali si accaniscono, liquidando la disgrazia quale logico effetto dell’abusivismo imperante. E una popolazione ferita e sradicata viene descritta come unica responsabile della propria sventura e quindi, perfino immeritevole di considerazione e solidarietà.

Il disappunto e la rabbia per questa lettura impietosa del disastro animano il tono acceso e tagliente dei versi di Mirella Genovese, che in Morte Annunciata ne fa una cronaca vibrante e appassionata.

L’autrice dà voce ai morti e sono le vittime stesse a parlare negli accorati versi che si snodano con pathos crescente. Mentre vanno incontro alla morte, si presentano e si raccontano, in un nostalgico attardarsi tra i vivi. E si è subito dentro le toccanti, ricorrenti immagini.

Innocenza nell’ingenuo interrogarsi di “Una bambina”: “dov’è il mio angelo custode”? o di “UNA SINGLE”: “Mio Dio è questa la mia ora”? e ancora di “Una Casalinga”: “E’ questa la morte”?

Innocenza che culmina nella rassegnazione della “Badante Rumena”: “qui laverò tutte le colpe del mondo” e nella mansueta espressione di lei che continua: “io umile badante rumena”. Lo stesso candore di un Giovane che si prodiga con abnegazione a soccorrere i fratelli, senza più contarli: “sulle mie spalle ho preso/ il dolore del mondo”, “ora sono un giovane eroe”.

Accomunati dalla stessa impotenza, divenuti tutti piccoli, vergini, fratelli, innocenti.

E qui ricorre martellante l’inganno di una natura madre e matrigna:

e l’acqua… ”Dov’è quell’acqua pura”? E l’acqua del mare amica dei bimbi che imparano a nuotare sorretti dalla mamma , “felici avanzavamo lungo la riva/ credendo che fosse mare aperto”, ora diventa “nera come una parca” e con la “terra che da sempre come una madre/ ci ha dato i suoi frutti” ora fa il fango che “come pane fermenta” ci riempie la bocca. Lievita come la massa del pane. Questo ti nutre, quello ti strozza.

E sono labili i confini tra la vita e la morte; ciclo vitale che origina dalla terra madre e culla e si conclude nella terra tomba. Terra che genera, terra che nutre e ora sazia l’ultima fame.

In Morte Annunciata, Mirella Genovese passa in rassegna attimi di quella felicità che fa paura; quella quotidianità di gesti che riassume il senso della vita. I protagonisti parlano animati da un’ansia di bere a sorsi avidi la vita: “c’è tutto il tempo per amare… per viaggiare… per godere… E’ qui la pienezza del giorno”.

Il riscatto infine, nei versi in cui “ancora i morti del 1908…affossati tra le pieghe della terra/ concimano nuovi semi di vita” e ancora dove “come… una pagliuzza un ramo… scivolata verso la foce… mi sono fermata/ nella dimora dei pesci/ nella dimora di madrepore e coralli… una storia di sposa e di madre” ; dove nel ciclo vitale si eterna l’uomo; dove la vita si sublima dopo la morte, in un nuovo stato, sempre più alto.

Bellissima l’introduzione dei Cori che si alternano alle voci dei morti.

Nel primo Coro dei morti, (non sono più i vivi a sognare l’intima comunione coi morti ) i morti invocano immortalità, pure soltanto nei sogni dei vivi.

Nel secondo Coro dei morti un grido di denuncia di una politica sorda e cieca e il disinganno: “nessuno ammetterà la sua colpa”… “E noi siamo morti”.

Nel Coro dei vivi: la dignità del Silenzio.

E ancora il Coro degli animali morti, che rivendicano l’aver vissuto “la paura il dolore la morte/ con la stessa intensità dell’amore”.

E in una ultima Visione l’utopia di “un popolo che cresce e lavora/ nella sua terra… che ha radici profonde… che non conosce barriere” e, “in terra..il Paradiso”.

Dopo la lettura di “Morte Annunciata”, come in un limbo, dentro il corpo, ossa, muscoli e sangue hanno la stessa consistenza. Un fluido indistinto genera la vita, governa l’equilibrio. E reggi per le briglie l’emozione.

Nel dolore si cresce. Il dolore accomuna.

La sofferenza lega. Gli uomini. L’Uomo.

Recensione
Literary © 1997-2024 - Issn 1971-9175 - Libraria Padovana Editrice - P.I. IT02493400283 - Privacy - Cookie - Gerenza