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Alessia e Mirta
ovvero la commedia della vita
Fuggire, oppure restare.
Concedersi, oppure rinchiudersi per sempre. Accettare le ragioni del nostro
esistere, oppure rifiutare anche noi stessi. Alessia e Mirta è tutto questo: ciò
che siamo, e ciò che invece vorremmo essere, ciò che mostriamo, e ciò che invece
nascondiamo nel profondo del nostro animo. Alessia è la gioia, l’amore per le
cose della vita, oppure la delusione, il disincanto, la rabbia repressa? Quella
rabbia speciale, che si insinua sottile, e che dapprima è appena percepibile,
quasi un rumore di sottofondo, e poi invece poco per volta cresce, fino a
diventare un’ombra, sempre più spessa e impenetrabile, tra noi e il mondo.
È la natura che parla al poeta,
oppure è quest’ultimo che si perde nella sua fantasia senza più una meta? E il
poeta al quale si deve il libro dedicato ad Alessi a e Mirta è Raffaele Piazza,
autore molto noto a Napoli e in Italia, artefice di versi sempre più raffinati,
che nella loro immediatezza sono capaci e di colpire a fondo e di commuovere chi
legge. A prima vista Alessia è sempre al posto giusto, nel momento giusto, con
l’ingenuità e la leggerezza dei suoi anni. Ti sembra quasi di vederla come in
una fotografia, che sorride, con il sole che splende nel cielo azzurro. E poi
invece se continui a leggere, o se leggi una seconda volta gli stessi versi, tra
le righe scopri il freddo che è in agguato, l’inverno che è dappertutto,
l’inganno che si nasconde tra le parole dette, o peggio ancora sussurrate, tra i
pensieri, tra i sentimenti traditi.
Alessia vive e soffre a Napoli,
e gioisce, e sorride, e piange, e scopre le sue passioni, e sogna, tra il mare e
il cielo della sua città, che per lei (e per il poeta evidentemente) non è solo
un riferimento geografico. Per Alessia Napoli è il luogo dal quale lei parte per
il viaggio verso la vita, Napoli è la sua memoria e il suo presente, è un
frammento del suo stesso essere, è lo sfondo tragico che disegna i colori della
sua esistenza.
Alessia cammina, corre, salta,
poi si ferma, torna indietro, si guarda attorno smarrita, poi chiude gli occhi,
e poi si fa le solite domande, quelle domande che oramai circolano senza tempo
tra i suoi pensieri. La nostra piccola amica cerca di capire, ma il mondo che le
sta attorno sembra sempre più grande di lei, tutto si confonde nell’incertezza
del domani, anche gli oggetti più solidi sembrano poco per volta perdere i loro
contorni tra le sue mani, dissolversi lentamente in polvere sotto i suoi occhi.
La notte, il cielo scuro, la
debole luce delle stelle, le vecchie e le nuove paure, la voglia di fuggire,
infine il silenzio. Ad Alessia rimane solo la speranza. Ma chi è l’alter ego del
poeta, la giovane sognatrice oppure l’ingenuo mito dei suoi sogni? Giovanni noi
lo conosciamo solo attraverso le parole di Alessia. È lei che lo immagina, è lei
che lo chiama, o forse dovremmo dire lo invoca, è lei che ne parla, è lei che
pensa a lui, ed è sempre lei che qualche volta perfino (vagamente) lo descrive.
Viene il sospetto che l’adorato Giovanni, l’incorruttibile oggetto del
desiderio, non esista, che sia una specie di metafisica ancora di salvezza a cui
aggrapparsi.
Concreta e reale, invece, è
Mirta, la ragazza che non voleva conoscere il suo futuro (e che forse non voleva
crescere), con tutte le sue certezze che spietatamente si frantumavano una dopo
l’altra, con le sue contraddizioni, con la sua fragilità, con il suo cercare, il
suo accettare, il suo rifiutare, il suo avvicinarsi, e poi il suo improvviso
allontanarsi, il suo fuggire, senza un motivo apparente, da ogni cosa, da ogni
luogo, da ogni persona, da ogni essere.
Non è dolore, quello che c’è
negli strazianti versi di Raffaele Piazza, ma è qualcosa di molto più profondo,
è la nostalgia per tutto quello che potrebbe essere, e che invece non sarà mai.
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Recensione |
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