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Il verso della vita
Questa nuova raccolta di Luisa
Martiniello si distanzia da quella precedente per una ricercata aderenza al suo
stare e al suo esistere, più che al suo esistere. Il lirismo si fa quindi
contenuto, balugina in versi di forte spessore espressivo a partire dalla poesia
d’apertura che traccia l’imperativo della raccolta e, nello stesso tempo, lascia
fluire carezze-corolle fiorite-brillio di desideri-dolcezza di pensieri-
mentre il mondo attorno si dirige impavido alla malora, conscio forse, perlopiù
abbacinato, svuotato d’identità e riempito di falsi bisogni, di desideri senza
splendore, senza sudore, senza poesia.
E’ pienamente incisiva, e piena
di grazia il ricordo della nonna e della cantilena alla piccola nipotina.
Cantilena irpina perché Luisa Martiniello porta fieramente le stimmate della sua
terra, avara, isterilita, abbandonata dai potenti e anche dagli umili; forse
anche Dio non vi posa più lo sguardo. Lei che è impasto amoroso del suo
territorio, ne denuncia le miserie, le sopraffazioni, l’ipocrisia e il
mercantilismo imperante. L’imperativo etico della poesia civile sovrasta la
musicalità e ogni sentimentalismo: la poesia usa un linguaggio quotidiano, si
libera delle pastoie della retorica per farsi invettiva, narrazione, dardo che
ben mirato vada a segno. “… / Dita lisce / da gente di corsia /…; non tornano
i lupi alla masseria / non c’è profumo di forno /…,” Levis sit tibi terra / che
s’acquatta e t’infetida / nell’argine schiumoso / dalla notte senza luna”;
“un’altra mattanza / servita a colazione / sì che non spalmo più marmellata /…
…/ Cambio copione ogni giorno / Prendo un tram / (… …) temporeggio. / Ma chi mi
siede accanto / mi concede un mea culpa?”.
Sono alcuni dei versi che
traducono l’amarezza e anche il senso di impotenza di fronte ai guasti della sua
terra e del mondo tutto, perso dietro “magherie”, abbagliato come lo sguardo che
guarda un caleidoscopio e più non ha la luce, ma la consapevolezza che essa s’ è
rotta, sbrindellata nei suoi componenti colorifici.
E’ una parola tesa come un arco
che scocca la freccia e colpisce piccole e grandi nefandezze, piccoli e grandi
ipocrisie. “C’è di nuovo/…/ Abbiamo la faccia / dei soldi / ma non spilliamo / un
centesimo / per la questua…”: una coscienza ben ammaestrata lungo la
traiettoria dell’etica non consente sentimentalismi e soste al riparo della
propria anima, sensibile come sabbia dal tempo resa fluida come l’acqua.
Leggiamo anche una consapevolezza di riscatto delle donne non più “cerve
ingenue nelle riserve fiorite / (… … … …) oggi non ci sono dighe bavagli alle
bocche / mani o lacci alle gole Il volere è l’ala / vincente…”. Questa ultima
parte del verso è tutt’altro che auspicio, si presenta come riposizione della
donna che riacquista la sua dignità a fianco dell’uomo in una terra dura e poco
generosa.
Ma quanto è andato perduto della
genuinità e purezza antica!! Invito a leggere la poesia “Non c’è l’occhio
vigile del pastore / Il cane zeccoforo / volge il fianco allo sbranatore di turno /…”
dove la Martiniello raggiunge le vette della poesia alta per una scelta
simbolica e contemporaneamente del tutto quotidiana delle parole. La poesia si
chiude con un punto interrogativo a testimonianza che soli o in pochi poco si
trae e resta funestata dall’avidità “la scala verso Dio”.
Interrompe il disperato e disperante censimento dei mali e
della solitudine della propria identità l’irrompere nel volume di frammenti
lirici di forte intensità interiore e alcuni quadretti di vita quotidiana, non
tanto esornativi quanto piuttosto antagonisti della brutalizzazione omologante
che impera.
L’urgenza del dettato poetico della Martiniello tende a
scuotere coscienze più che a smuovere sentimenti, incita alla riflessione e alla
denuncia; è un grido sommesso di rivolta contro il disfatto e il convenzionale,
condotto sul teso filo di una coerenza ammirevole.
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Recensione |
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