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Affari di cuore
l’amore come dono, lotta, liberazione
Affari di cuore è il titolo dell’ultima
silloge poetica di Paolo Ruffilli: titolo quasi ossimorico in cui il termine
“affari”, di ambito prevalentemente commerciale, si scontra con “cuore”,
l’organo che scandisce il battito vitale e simboleggia da sempre il sentimento
amoroso, l’affetto, la passione, quasi che l’autore abbia voluto dissimulare,
usando un semitono, la forte tensione emotiva e carnale che permea ogni pagina
della raccolta. E di ‘amore’ al massimo grado si parla principalmente nel
libro: amore a cuore aperto, a tutto tondo, scandagliato e ritratto a tinte
decise in tutte le gamme di situazioni interiormente e fisicamente percepite, ma
sempre ricondotte ad un amore inteso come esperienza totale e totalizzante,
vissuta con chiaro coinvolgimento, mai come pura avventura galante. Un Ruffilli
quindi più Catullo che Ovidio, se volessimo in qualche modo accostarlo ad un
nome classico (anche perché rarissimi sono i casi di poeti italiani che
abbiano posto l’amore così al centro di un’intera opera...se si escludono il
‘divino’ Dante e il canzoniere petrarchesco ).
L’amore è per Ruffilli “la sola chiave
| che
aprendo i cuori | dilata i pori e le fessure...e correndo | schioda ogni
frontiera”, è un amore sentito come sentimento liberatorio, come unione libera
con l’altro, oltre ogni laccio manicheo, come scambio e annodarsi gioioso di
vite e corpi che non si negano, anzi ricercano e inventano l’esperienza amorosa
nei suoi vari momenti: dall’estasi dell’abbraccio, del “corpo a corpo” dei sensi
storditi (“l’uno all’altra | inchiodati e crocifissi | nello spumante
| della
stanza circoscritta | fino allo sfinimento | più stordito”...) fino alla ferita,
al dolore del distacco o assenza, al gioco crudelmente necessario della
finzione, quando il rapporto innescato evade dagli schemi sociali consolidati.
Caratteristica quasi
‘narrativa’delle composizioni è la presenza costante di un ‘io poetante’ che in
prima persona esprime in versi perfettamente scanditi e intrecciati gli stati
sentimentali di una vicenda a due, dove colpisce lessicalmente il ripetersi
costante del verbo ‘amare’ in ogni sua voce verbale e del temine ‘amore’, a cui
si associano, anche nei titoli, termini come ‘ardore‘, ‘tensione’, ‘frenesia,
‘furia, ‘sogno’, ‘risveglio’, in un climax di discese e risalite, in una sorta
di lucido dialogo con se stesso e con l’altra, “senza più difese”, arreso e
felice del suo “abbandonarsi” “alla divina | offerta consacrata
| dell’amore | e
alla sua carneficina”.
La raccolta si
struttura in quattro sezioni, di cui la prima, Per amore, si rivela la
più intensa e compatta, in qualche modo più rappresentativa della “forza
potente” dell’amore, mentre le altre, (Canzonette della passione amara,
Guerre di posizione, Al mercato dell’amor perduto) si
muovono, come indicano i titoli stessi, in una dimensione più disincantata, dove
permangono i sussulti della passione, ma con un residuo più stridente di
amarezza, di perdita di illusione, che al tempo stesso permette al poeta di
analizzare e ritrarre più razionalmente la forza trascinante, innocente e
traditrice, di questo sentimento (“Perché l’amore | è potente | proprio
mentre | appare incerto, | riempie il vuoto | che ci avvolge... | e vince sempre
| senza
conquistare”). In queste sezioni la figura femminile, più che complice e
complementare, appare sfuggente, sirena, femme fatale, a volte quasi vera
rivale, che si compiace a appaga della conquista, di un rapporto semiclandestico,
a cui invece la figura maschile non sa sottrarsi senza un velo di autoironico
pudore (“Sapevo tutto | già in partenza, | senza sperare affatto | che avrei
cambiato | in corsa la partita | e che ti avrei tenuto | nel tuo deciso | scivolarmi tra
le dita”).
Ma, oltre e al di là
della tematica, il fascino che emana la lettura dei componimenti proviene dalla
scansione musicale, dal ritmo ora incalzante ora lieve dei versi, retti da un
uso sapientissimo degli strumenti stilistici – assonanze, rime, allitterazioni,
antitesi e infiniti giochi fonico-lessicali, in cui da sempre Ruffilli si è
dimostrato maestro, assurgendo qui al massimo della capacità evocativa e
narrativa insieme: “Nel fondo del morso | distesi | slittati confusi | arresi alla
stretta cintura”.
Una raccolta che
conferma il valore anche catartico della poesia nel farsi specchio rivelatore –
e quindi liberatore – dei conflitti etico-sociali di un’intera esistenza e
generazione che ha lottato contro figure autoritarie verso cui aveva ancora
senso la parola ‘trasgressione’: Ruffilli qui la brucia al fuoco dei sensi e dei
sentimenti, ricomponendo il dualismo corpo-anima, entrando coraggiosamente e
senza inibizioni nella sua e nostra “camera oscura” - titolo di una sua famosa
raccolta - dei sentimenti e dell’eros. Ma, ben evitando il rischio di cedimenti
su un terreno così delicato e scabroso, ottiene il risultato di porre questo
abusato termine ‘amore’ sul contraltare della sacralità , del dono “dell’averti
amato”, quasi unica “guerra di posizione” in cui il “mondo”, che poi “vince
tutte le partite”, ci permette di giocare ad armi pari, liberi comunque di
scegliere.
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Recensione |
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