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In specchi di crepuscolo

Tutta la produzione della versatile Anna Gertrude Pessina è caratterizzata da una profonda malinconia e sul piano stilistico da un approccio sperimentale.

Già l’epigrafe è indicativa del tono della raccolta, suddivisa in sette sezioni e dominata da stati d’animo dolenti. Il verde dei limoni dal gusto acre diviene, infatti, metafora di un’esistenza caratterizzata da “pagine di vita distonicamente tristi”.

Immagini della natura, collegate all’alternarsi delle stagioni, simboleggiano lo scorrere del tempo: ecco l’agonizzante foglia dalle sfumature ambrate ruotare vorticosamente su se stessa come l’individuo che quotidianamente si affanna e sgomita invano.

Se la primavera con i suoi colori lascia presagire una fase di rinascita, l’estate, con il soffiare leggero del vento e i primi raggi del sole, rimanda a sensazioni di gioia e serenità precluse a chi scrive.

Sul filo dei ricordi è la seconda sezione, nella quale Roma con via Veneto, la fontana di Trevi e Piazza di Spagna rappresenta le aspettative del passato negate dal presente.

Ogni speranza è venuta meno (“Il raggio verde era lì. Non/per/me) in seguito all’inevitabile declino che è poi il tema della sezione successiva, “Ritardar l’andare”, dominata dall’attesa della morte e dalla meditazione sulla vecchiaia.

La poesia acquista una valenza sempre più intimistica nelle liriche dedicate al fratello Vincenzo (“Pensieri tristi”) per sconfinare nel sociale e legarsi all’attualità (il femminicidio), letta con sguardo partecipe e sconfortato.

La città (“Milano delirava quella notte”) assiste, indifferente, all’escalation di una violenza smorzata dalla nascita del figlio inatteso (“Ad un’abortiente”), foriero per la madre rimasta sola di una seconda giovinezza.

La sezione “Incanto-disincanto” ospita poesie d’amore, struggenti nel suscitare emozioni e sensazioni così intense nel lettore da proiettarlo in una dimensione quasi di sogno (“Noi sulla panchina”).

I sentimenti provati nel passato sopravvivono nel ricordo mentre nel presente, appesantito dalla solitudine, c’è spazio ormai solo per la rassegnazione, benché, sull’onda di un disagio che trascende l’esperienza personale, riaffiori l’indignazione (“Disonora il padre”).

Ecco che la poesia, invece di tradursi in una fuga, si salda alla realtà, facendosi strumento di denuncia di una società disumana e autodistruttiva.

Recensione
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