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Oltre le quattro montagne
Adottando la forma diaristica, Genoveffa Pomina ci offre una
toccante testimonianza di vita. L’occasione da cui scaturisce questo lungo
monologo è il lutto: la prolifica autrice, sposatasi giovanissima e madre di due
figlie, tenta attraverso la scrittura di arginare il dolore derivante dalla
perdita del consorte.
Tutto il libro è, dunque, una riflessione sul suo rapporto
coniugale, costellato di gioie e di amarezze come spesso accade nell’esistenza
di una coppia. La nostalgia per i momenti trascorsi insieme caratterizza questa
confessione di esperienze rimaste impresse nel ricordo.
Come si è detto, la scrittura assolve un valore catartico,
consentendo all’Autrice di esplorare il disagio provato per poi distaccarsene.
Ricorrenze, sogni, telefonate e viaggi sanciscono lo scorrere del
tempo che passa acuendo, invece di lenire, le ferite dell’anima. È il presente vissuto con amarezza a
cui si contrappone un passato che il ricordo contribuisce a rivalutare se non
addirittura a idealizzare. Uno stile informale e colloquiale accompagna il
resoconto dettagliato di una vita scossa prima dalla malattia e poi dal lutto. A
mitigare la solitudine e l’angoscia che ne deriva dovrebbero provvedere sia la
passione per lettura che quella per la scrittura che offrono però solo uno
spiraglio a chi è prigioniero di un “labirinto senza uscite”.
Ecco perché le memorie della Pomina, vivacizzate a tratti dalle citazione di
massime e poesie, peccano di quell’autoreferenzialità che è spesso il limite del
genere autobiografico.
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Recensione |
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