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E anche Trento diventa magia.
Metafore trasfigurate e grande ardore poetico al femminile

“È un saltimbarco povero | da baraccone, senza | rete di protezione | la mia poesia.” scrive Lilia Slomp Ferrari nella lirica che apre questo Nonostante tutto. Questa poetessa trentina, che ha vinto una incredibile serie di premi per la poesia in dialetto e in lingua, presente in molte antologie, è arrivata dopo i quarant’anni a pubblicare la sua prima raccolta di versi, En zerca de aquiloni (Reverdito, Trento 1987). Lo scorso anno la sua seconda raccolta di poesie dialettali Schiramèle, (La Grafica, Mori) di cui parlammo su queste pagine.

Ora il suo primo libro di versi Nonostante tutto apparso nella prestigiosa collana “Picchio verde” di Uct che ha il pregio di accostare sempre un poeta con un pittore: questa volta si tratta del pittore levicense Gianmaria Bertoldi che si misura con gli stessi temi di Lilia in un affascinante intreccio. Lilia Slomp Ferrari, con tre libri di versi in quattro anni è, assieme a Luisa Anzoletti, Antonietta Bonelli, Nedda Falzolgher e Annamaria Ercilli Goio la poetessa trentina più fertile: ed ha davanti a sé molti anni per donarci tanta poesia. Che sia un talento naturale, che abbia una straordinaria capacità di trasformare il grigiore della realtà in metafore scintillanti già abbiamo avuto occasione di dirlo e di scriverlo. C’è in lei una musicalità connaturata con la sua facilità di versificazione: uno stile “metastasiano”, una vocalità “mozartiana”. Che questo sia un pregio naturale ma, allo stesso tempo, un limite appare in qualche modo scontato.

E Lilia, non sempre sa sfuggire a questa trappola, canta come un usignolo in modo spesso sin troppo accattivante. È così che, nel linguaggio dialettale ha fatto scuola nel Triveneto, è stata imitata e perfino saccheggiata. Ma in questo primo libro di liriche italiane, soprattutto nei testi scritti negli ultimi due anni (la raccolta seleziona poesie degli ultimi sei anni, 45 liriche in tutto) c’è un salto di qualità in Lilia Slomp: la sua versificazione si fa più pausata, più ampia, più complessa.

Pur non rinunciando allo scintillio delle metafore, va alla ricerca di un linguaggio più nuovo, più personale, perforando una realtà che si rivela via via più sfuggente, più contradditoria. Le sue atmosfere magiche, catturanti, il suo bisogno di “travestimento” (da gitana. da creatura marina, da araba) alla ricerca maliosa e tormentosa di un “altrove” che riscatti il grigiore della quotidianità, il suo smarrimento floreale, tra fiori mai descritti ma sempre colti nella complessità del simbolo, (del fascino, del tempo, dell’eros, del morire) diventano elementi di una realtà ancora in gran parte da esplorare.

È così che Lilia abbandona una “malinconia di maniera” che pure aveva fatto la fortuna di molte sue poesie per varcare la soglia di una verità meno scontata, meno facile, e immergersi – immergerci – in un mondo più umbratile, più complesso, più sfuggente, meno razionale.

Ne emergono autentici gioielli lirici come “Nel canneto”, “Oltre la neve”, “Nonostante tutto” e, soprattutto “Io so”; una lirica quest’ultima di trenta versi che ti cattura e ti “spiazza”, ti immerge in una cripta, in un salgariano tempio sommerso, in un ipogeo dove bene e male si confondono, appaiono l’uno faccia dell’altro, perforano il cammino più umano dell’uomo.

Recensione
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