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Affari di cuore

Un grande poeta, un amico generoso, così mi appare oggi Paolo Ruffilli. Dopo un percorso vario e sempre sorprendente, il poeta approda in età matura ad un canto di vita e di morte fatto di lirismi dolci e inconsueti (nello stile), con il ricorso a rime frequenti - sempre nuove e fantasiose - in ben 123 poesie d'amore, quelle che compongono il suo recente libro Affari di cuore pubblicato da Einaudi.

L'amore: un argomento delicato, delicatissimo, che diventa a volte rivalsa, incontro, lotta, tregua, condiscendenza, fuga, rinuncia, alimento, assenza, frana, voglia, morte, carne, sogno. Ma non è il critico a identificare queste sfumature o questi ambiti, al contrario è tutta questa sostanza (e tanto, tantissimo altro ancora) a diventare la realtà di questa silloge. La realtà di un racconto d'amore che attraversa la spina dorsale del poeta, mai arreso al quotidiano, ma che vive e muore ogni volta dentro il fantastico, e al tempo stesso reale, gioco di alternaze offerto dalla vita. L'atto sessuale è un atto per così dire totalizzante, che non conosce finzioni e si prospetta sempre diverso, che si apre e si chiude così come ogni giorno si alternano la luce e la notte. Un atto senza vittorie, un canto forse anche triste, ma che restituisce al lettore la leggerezza ed il fuoco con cui si autodefinisce e si autorigenera. Una poesia rara, anche, per la durata stessa della poesia.

Siamo abituati a leggere, nelle storie e nelle sillogi di altri poeti, narrazioni di vita varia, temi quali la solitudine, la famiglia, la quotidianità, la maternità, il luogo natio, il dolore, la coppia, Dio, la morte e quant'altro, ma ancora non avevamo letto un libro di poesia cosi unico, uniforme, personale e aperto all'incontro. L'eros già contiene vita e morte, Ruffilli aveva già proposto questi argomenti nel libro La gioia e il lutto, ma qui ad ogni rigo la situazione è cangiante, ogni parola è una sorpresa. E quando dico "sorpresa" intendo alludere allo stile, al ritmo che si ritrova in rime lontane come in rime vicine, all'interno di un unico periodo sintattico. Stile e generosità che Paolo Ruffilli spende anche nella vita di tutti i giorni: non mi riesce pensarlo nascosto dietro una segreteria telefonica, diversamente da tanti poeti presuntuosi e arroccati sulle loro minime conquiste. No, veramente, Ruffilli non, e un poeta appartato ne scontroso o malinconico, e lo dice tondo tondo anche nel privato: to hai amato, io ti ho dato di più. Nel complesso della vita di oggi questo e un miracolo anche se raffrontato alla cronaca, dove uomini impazziti sopprimono e snaturano gli amori pia belli e can, per non dire gli unici amori della loro esistenza.

Tornando alla letteratura, da Ungaretti in poi la poesia è cambiata, si è fatta asciutta, e ancora oggi ci piacciono poeti capaci d'immagini di sintesi, lapidari. Tuttavia qui, pur nell'essenzialità, il periodo è ampio. Tutte le poesie sono costruite su due periodi abbastanza estesi (poche volte tre) e all'interno di un unico periodo di senso ragionativo il poeta inserisce numerose rime uguali, addirittura sei nella poesia "Stanchezza" (addormentato, impigliato, trascinato, amplificato, immaginato, sfibrato, piii la rima passione/visione). Tale la vivacità inventiva della costruzione, tale la ballata delle parole nella gioia o nella stanchezza. Ma tutto il libro è cosi, un altro esempio è la poesia "Legame": consta di due periodi per 21 versi, con quattro parole che rimano (stata/ribaltata, maniera/intera) e un'assonanza (addosso/possesso). Il senso è questo: "Il legame / s'intreccia / in un momento, alla sola / sua maniera, e non importa / che poi duri un'ora / o la vita intera". A conferma della ricerca stilistica ed inventiva del poeta, va sottolineato come tutte le poesie, nessuna esclusa, portino un sigillo di senso e di rima. Ritengo sia difficile contestare a Ruffilli la sua bravura antica e moderna, la profondità della scrittura, la verità portata avanti anche con il bagaglio della contraddizione, ma con l'assoluta sincerità che un grande scrittore e teologo come Hermann Hesse condensò in queste parole, adattissime a chiosare l'opera dello stesso Ruffilli: "Si può scordare ma non cancellare, certe immagini si conservano incorruttibili".

Recensione
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