| |
Del sognato
Tutto quello che appare nei versi di Raffaele Piazza è sempre
acquoso e duro, velato e cristallino. La prospettiva della parola poetica si
confronta con la drammatica dialogicità di un confine che indica, illusivamente,
infinibili percorsi, ma che pure sconvolge e abbandona il viaggiatore, ponendolo
sull’orlo di una estesa specchiera che tutto moltiplica e infrange, potenziando
e riformulando i suoni e le immagini con il soccorso di inaudite esplorazioni.
La poesia di Piazza è autentica e potente: perché sapientemente cieca e
involontaria; perché sempre coraggiosa e incontenibile nella sua anarchica
energia. È davvero una poesia che si proietta in alto, con la festosa libertà di
una libellula che non conosca gli argini e i limiti di qualsivoglia finitudine;
il suo dire meravigliato – così fitto di esplosive accensioni; e di improvvise
modulazioni; e di strabici e incalcolati ondeggiamenti – scruta il mondo con la
passione labirintica di un perenne innamorato; o, di colui che adesso,
selvaggiamente, è abitato da un dio furente e oscuro, la cui formidabile
comparizione apporta, insieme, la fiamma di un’alta conoscenza e l’inatteso
precipitare nelle viscere del buio (testimoniando l’impossibile sorte della vita
della scrittura poetica, costantemente fragile e nuda; e sottomessa alla lama di
una imprevista visitazione estranea, indicibile e altra).
Il nuovo libro di
poesie di Raffaele Piazza, Del sognato, accolto nella bella collana
curata da Gabriela Fantato, raccoglie e riprende testi singolarissimi, percorsi
da una trasparente misteriosità. La lingua pare adagiarsi sulla superficie del
gioco, del bianco, del lieve; ma essa è una superficie instabile e bruciante,
capace di far riemergere parole dimenticate, sembianze inconosciute: così lo
sguardo è trascinato, senza fermarsi mai, verso l’irrequieta contemplazione di
quadri enigmatici e ambigui. Respirano, inquietamente luminosi, versi che
cantano la nascita di una felicità quasi interdetta, pronta a esplodere e a
smarrirsi: una felicità sottile che rimane, tuttavia, sospesa e lontana, come
racchiusa nella bolla di una visione imprendibile e remota. Qui, le presenze
intraviste si fanno, nello stesso momento, vicinissime e stellari: nello spazio
di un istante già si ritraggono nella sinuosa evanescenza di un mondo
sotterraneo, magicamente pieno di una letizia incomunicabile e incompleta; e,
per tale ragione, ancor di più necessaria, desiderabile e viva.
| |
 |
Recensione |
|