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La forma è bella, di una bellezza piena, succosa, ricca di colore, come certe immagini che restano profondamente impresse:

“...bimba abbandonata / in un grosso cesto di ciliegie”,

“ ... frutta, / fruttuosa / che rotti gli argini di un carretto / rotola di colori / e non si rompe”,

“ Quei piccolissimi fiori bianchi / d’ippocastano sciolti a tappeto / hanno una lacrima di sangue / rossa, viva” e tante altre ugualmente espressive di una capacità di vedere con occhio fisico-spirituale e di rappresentare plasticamente attraverso le parole. Il fuoco che brucia nella neve, immagine della copertina, ben si lega al vibrare della luce dell’anima e nello stesso tempo si lega al calore di donna fisica. Ad esempio la poesia “Emozione” di pag.35 fa vedere, provare emozione di fronte alla bellezza del corpo femminile:

“Grande goccia di brillante / .../ dondolante in carezza / sopra il mio disteso corpo nudo di donna / solletica...”

Queste sono le immagini più appariscenti della poesia di Annamaria Cielo, sotto la quale però si cela un grande amore per l’esistenza, per “ questa piccola che è grande / vita”, per una sessualità chiara, serena, commovente per i suoi “profumi conosciuti / sempre nuovi e talmente belli / che il pianto mi prende / incapace di descriverli” ; per i nostri frères humains di Villon, ad esempio, il cui bardassone deriso assomiglia a: “E la gente rideva di un grasso travestito / con seni ai siliconi / bionda parrucca...” (pag.47), con quegli interrogativi finali di un così sincero e coinvolgente contenuto etico di partecipazione al dramma dei diversi.

Dotata di una sensibilità psico-fisica rapida e fremente, la poetessa nasconde un sottofondo di tristezza, vuoto, inerzia, noia, ma attenzione, solo apparentemente passivi e offensivi, in realtà si tratta di una rivendicazione accorata del diritto sacrosanto al dolore, e ciò evidenzia ancor più la nobiltà d’animo e la personalità dell’autrice.

Nella poesia “Viaggio” di pag. 45 il contrasto dei sentimenti è profondo e sottile (la sua affermazione d’indipendenza, il rifiuto ad essere “ insulsamente condotta / da un macchinista ad uso d’altri”, la ricerca della visione ampia in comunione con la natura di “ distese larghe”, l’umanità nei suoi valori sociali e culturali di “ città di storie”) e nello stesso tempo ha uno struggente “cupio dissolvi” della fantasia creatrice, pervaso di rassegnata e dolcissima malinconia:

“ Se fossi un treno mi arrugginirei / dove vorrei / non insulsamente condotto / da un macchinista ad uso d’altri / per l’altrui viaggi. / Amerei distese larghe / città di storie / e fingendomi rottame / mi lascerei abbandonare in tali visioni / che senza nel gaudio accorgermi  / del lento arrugginire / felice in oblio / io finirei.”.

D’altro lato, Annamaria Cielo si rende benissimo conto che la vita è tutta un succedersi di gioie e dolori, “sole nell’ombra / o ombra nel sole”, da cui, nei momenti di sconforto si vorrebbe evadere “... su un cavallo di cartapesta / o un treno che ti porti lontano” (Noia) – ma che invece va affrontata con coraggio, al pari della montagna che per lei è “fatica / superamento”. Però afferma risoluta “ quando ci sono / cammino” (Ostacoli). In questa poesia c’è tutta una progressione che fa capire una profonda religiosità:

“...piccole montagne in me, / m’aiutano ad aperti orizzonti / che giganti mani a preghiera / mi cullano / nella potenza di Dio / d’Amore e Natura.”

L’occhio fisico- spirituale pervade tutta la raccolta. La realtà serve per mettere dei paletti, a far capire che da quel momento in avanti le cose cambiano radicalmente. Eppure la poesia offre l’occasione per iniziare altre esperienze, legate al tempo interiore, legate al bisogno di fantasticare, che non mette limiti, ed è presente, basta esplorare la Creazione, incarnarsi nei desideri, riprodurre antiche sensazioni, sancendo il bisogno di sostenere l’anima e la conoscenza. Realtà e sogno: l’una senza l’altro s’uccidono, insieme “ quieti e lunghi bevono / sorsi di quello specchio...”, che si chiama vita.

Recensione
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