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Nel mondo
culturale (ma anche dello spettacolo, che non è sempre sic et simpliciter=cultura) italiano s'è creata, negli anni una diffidenza di fondo verso il teatro
poetico, quasi il teatro debba essere altro dalla poesia. La poesia a teatro, in
Italia, ma non solo, non è molto amata, tanto che qualcuno ha coniato-fatto
vigere per decenni l'infausta definizione (oggi per fortuna un po' in
disuso) di"teatro di prosa", dove, per ironia, anzi a mo'si sberleffo, verrebbe
da dire "teatro di posa". Da qui la diffidenza, conclamata nelle nostre proposte
teatrali (salvo pochi, anzi pochissimi coraggiosi), nei confronti di autori come
Federigo Tozzi (sì, scrisse anche teatro, anzi né banale né poco), Alexander
Blok, grande simbolista russo, Maurice Maeterlinck, poeta-autore teatrale
fiammingo, anch'egli d'impronta simbolista, Aldo Palazzeschi, Giovanni
Testori (per taluni sembra non sia mai esistito...!), Pier Paolo Pasolini ed
altri; persino un autore iper-rappresentato come Pirandello, per certi suoi
testi, era stato/tuttora viene ostracizzato.
Ora, con la pubblicazione
di Tuttoteatro di Liliana Ugolini, l'autrice fiorentina, peraltro pluri-rappresentata, vede pubblicate le sue opere
poetiche, ma sempre adatte alla scena, composte negli anni 1990 e 2000. Testi
brevissimi, talora, altre volte di dimensione ben più "corposa", tutti
estremamente adatti alla preminenza del Verbo, i.e. della parola, ma altrettanto
attenti anche agli altri segni del teatro: danza, movimenti, mimica, luci,
musiche, scenografia, oggettistica (sempre giustamente"minimalista") etc. Un
teatro di pensieri, come di sentimenti, sensazioni, emozioni, come anche un
teatro volto alla spiritualità, ma non meno anche alla concretezza, pur se per
allusioni ed efficaci ellissi, dove appunto sono tra le figure retoriche e
poetiche più efficaci (non mancano mai, ma senza alcuna tendenza agit-prop, i
riferimenti ai drammi e alle tragedie dell'oggi, quali guerre, carestie,
sfruttamenti vari) a "dare il la" ad una creazione poetico-spettacolare, senza
peraltro esaurirla.
Chiare le tracce della lezione delle avanguardie storiche
proto-Novecentesche (dopo, diceva Baldacci, non c'è granché, in realtà, salvo
qualche clamorosa eccezione) in particolare a surrealismo (i jeux des mots e non
solo), futurismo (la spezzatura e gli "improvvisi" in scena), dadaismo. Ma ciò non
toglie, anzi rafforza l'autonomia creativa dell'autrice, capace di essere
pienamente padrona della parola e della scena. Evoca i grandi archetipi (Eros e
Thanatos, per dire), ma non solo (le eroine tragiche, ossia, per meglio dire, le
protagoniste di alcune grandi tragedie greche, quindi altri emblemi, altri
archetipi, se si vuole, ma non solo dell' "eterno femminino"), guardando a
Palazzeschi, con prudenza, ma soprattutto al dopo, al teatro del domani, che in
parte (se pure solo in nuce) è già in atto oggi. Fissare in volume certo teatro
può essere limitativo, quasi si bloccasse in moviola un film; non nel caso della
Ugolini, il cui teatro è per eccellenza incentrato sulla parola, pur con
l'accennato uso di tutti i segni designanti il teatro. Fiorentina, la Ugolini
scrive un teatro in italiano perfetto, senza alcun uso del "vernacolo" (sempre
ammesso che il fiorentino non sia di per sé=italiano).
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Recensione |
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