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BonsaiAd epigrafe del libro questa dedica: «Dedico questo quinto libro di versi a Elide – madre dei miei figli – al gatto Raffaele a Teresa di Lisieux presenze diversamente vive di una sofferta “renaissance”».
«Questa nuova silloge di Lucio Zinna – come dice il risvolto di copertina – si relaziona strettamente alle due opere precedenti (Sàgana del 1976 e Abbandonare Troia del 1986), con le quali finisce per costituire una sorta di eccentrica trilogia». In effetti ci sono; in questo Bonsai tutti i caratteri peculiari della poesia di Zinna, varia, libera da condizionamenti stilistici, lontana da scuole e mode, tutta pervasa da uno spirito d’indipendenza che la rende unica, originale, riconoscibile tra mille altre poesie. E credo che, in questo senso, abbia ragione Raffaele Pellecchia quando scrive: «Mi pare che sia assente, nella organizzazione della frase poetica di Zinna, qualsivoglia intento polemico vuoi verso il registro sublime vuoi verso quello umile; né, tanto meno, c’è la preclusione verso alcun livello stilistico e lessicale; al contrario, con l’abolizione di ogni opzione pregiudiziale, ci si garantisce una estrema libertà di scelta che finisce per essere l’elemento caratterizzante la sua fisionomia stilistica». E se ciò poteva esser detto per Abbandonare Troia lo si può dire anche per questo Bonsai, un gioiello letterario di appena 24 liriche divise in cinque sezioni. Nella prima, dal titolo Prossimo, l’ironia di Zinna prende di mira la condizione umana, i piccoli grandi drammi di una umanità affollata di «deprivati socioculturali», di «tarpati per minorazioni», di «insufficienti mentali», di difensori della libertà («Liberaci o Signore | dalla prepotenza di coloro | che hanno sempre qualcuno | da liberare»). La memoria è il tema della seconda sezione, Casablanca, la memoria di una lontana fanciullezza vissuta fra lontananze e desideri, e sciolta «come un giulebboso sgomento pupaccena». La terza sezione comprende tre sole poesie. Le prime due dedicate A un poeta rompiballe e A un poeta affetto da sindrome di Salieri; la terza al caro indimenticabile Rolando Certa. Nella quarta sezione, dopo aver cantato l’amata Palermo, «zingara» e «puttana», in una appassionata «filastrocca», il poeta gioca con le parole tirando fuori dal suo cilindro magico rime interne, calembours, doppi sensi, equivoci, allusioni, paronomasie (delizioso l’epigramma dedicato ad Alfio Inserra in cui il poeta gioca, grazie ad un felice accostamento di lessemi, con nome e cognome dell’amico). In Lisieux, la quinta sezione, meditazione e sofferta partecipazione emotiva penetrano, con l’incisività di un linguaggio asciutto e musicale, in quel mondo del reale dove tutto si specchia nella «nostra relativa solitudine». Bellissima la lirica Il lume affettuosamente dedicata al sottoscritto «in ricordo di un colloquio» avuto in quel di Mazara nel maggio del 1988.27 maggio 1989 |
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