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Appunti di lettura a
Discordanze intermittenti
di Gianni Calamassi
la
Scheda del
libro

Grazia Giovannoni
“Scoprire ancora / Giorni perduti / sui meandri fiesolani / nella foschia / di un film appena rievocato. ”Così Gianni Calamassi,
chiudendo la prima lirica ”Raccordi”, apre ai lettori la sua più recente
raccolta di poesie. Ci immerge nel paesaggio dei bei colli fiorentini
coinvolgendoci nelle sue memorie che evocano giochi di bambino insieme a
immagini di cammini “sepolti dalla storia”, ma che ancora suscitano echi di
carri e di passi antichi.
E ci sorprende. Perché i toni sono
smorzati e il suo film è in bianco e nero, come tutti quelli di un’infanzia
vissuta prima della metà del secolo passato. Nella discordanza (il titolo della
raccolta accredita la parola) si pongono subito le due liriche “La parola e il
silenzio” e “Il silenzio e la parola”. Non c’è opposizione, ma confronto, come
se un punto-luce illuminasse ora l’una ora l’altro.
Per Gianni Calamassi la parola è stata
tensione, ricerca, affascinazione, rivelazione, conquista, partecipazione,
comunione, solidarietà. Ancora nella prima delle due liriche è ”scintilla…
parabola… memoria /… vive e respira”, ma il silenzio porta a una dimensione altra
dai “sentieri ordinati” della parola: è chiuso come le acque di lago che ha
sorgenti nascoste e “… riflette ogni immagine / ma nulla trattiene”. Dal silenzio
emerge il dolore di un balbettìo di significati inespressi. Nella seconda lirica
permane l’immagine dell’espressione negata : le parole son chiuse nel ghiaccio,
crepitano, ma rimangono prigioniere. Eppure il poeta non si inquieta. Non
chiede più risposte alle parole. Chiede ai silenzi l’aiuto a trovare la strada”…
alla ricerca della soluzione / per vivere”.
Il silenzio rende consapevole il poeta della
sua interiorità. Ed ecco che si scopre in attesa del ”tempo essenziale” in cui
compaia un segno di senso (in ”La pagina indifesa”) ,anche senza la lucida
consapevolezza che ha animato giovanili speranze .Un ossimoro, ”falsi
disinganni” svela le “discordanze” di questa lirica e trattiene ancora la forza
di quel grido ribelle ad ogni oppressione, che ha accompagnato il poeta in
tutta la vita. Come lo ha accompagnato lo sguardo alto al cielo e l’ascolto
attento alle voci della natura. Così le liriche seguenti, ”La bellezza del
creato” e “Ode al mare” recuperano luci e colori nei mutevoli passaggi del
vento. Nella prima, pochi versi oppongono la luce sfolgorante di un sole
glorioso a un lieve incresparsi di un’ acqua che scorrendo la avvolge nella sua
chiarità. “Il Divino è la bellezza / del creato” che sulla terra stempera la
potenza della luce del sole in morbide tinte dorate di boschi autunnali e la
nasconde tra le fronde ombrose degli alberi . La bellezza custodisce, ma non
svela il mistero del Soffio che anima la vita. Al poeta rimane l’ansia della
ricerca “… Fino all’ultima primavera.”
“Ode al mare” si apre invece con un
paesaggio notturno senza luna, tanto immerso nel silenzio che ”le onde
trattenevano il respiro” (bellissimo verso per l’immagine e la sonorità !).
Dall’intensa oscurità del mare emergono nella baia piccole forme primordiali che
rimandano al primo barlume di vita nelle acque. Gianni Calamassi - ricordiamoci
che è anche biologo - ci riporta alla loro lontanissima fecondità, quasi una
paternità del mare. L’alba attesa dal poeta in assorta solitudine apre il cielo
a un sole vittorioso e le onde riprendono dall’orizzonte la potenza dirompente
che sommerge, a riva, gli scogli. Oscurità e luce, silenzio e fragore. Ma è
nella profondità inviolata del mare e nei silenzi abissali che si trova il
segreto della vita.
Nelle liriche seguenti (“il sole estivo,
”Autunno inoltrato”, ”Inverno”) il paesaggio, raccontato con disteso ritmo
narrativo, trascolora dal ”biancore accecante” ai ”… rami spogli /… Ragnatele
sulla volta di un / cielo pallido …”, il poeta osserva questo mutare della natura
con una inquietudine che sarà gridata in “Evoluzioni”: ”Le concrete emozioni che
mi comunica / il paesaggio contrastano le astratte / Evoluzioni di pensiero senza
cuore che / insorgono al mattino e non trovano requie”. La razionalità che cerca i
perché confligge con i sicuri ritmi della natura da cui tuttavia si sente
accompagnato: ”Si scioglie il tramonto / Della mia vita osservando / La natura e la
luce / Che la circonda.” (in ”Tramonto”). Nel chiaroscuro di un cielo notturno
evocato da un bel distico ritmico (“La luna, nota musicale argentata / danza
accesa nell’oscurità senza fine” (in ”Paesaggio notturno”), il poeta scioglie la
sua individualità nella lotta solidale di una generazione che ritrae il suo
pugno vedendo sfumare in un più lontano orizzonte la mèta di giustizia e pace
per tutta l’umanità.
L’allontanarsi di questo orizzonte riporta
il poeta alla quotidianità del suo vivere: analisi razionale e fantasmi di sogni
in discordante alternanza lo ossessionano come ”Luci fatue” fino a stringerlo
nel breve presente dell’attimo: ”E potevo forse illudermi della vita? / Conosco
solo quello che l’istante / Mi dà e poi porta via con sé / Lasciandomi in bocca / il
sapore di cenere”. (in ”Sapore di cenere”). L’istante, ”frazione di un attimo”,
ritorna nella bella e intensa lirica seguente ”Nel dolore”, ma non si perde in
ceneri morte. La sua inquietudine ha portato il poeta alla consapevolezza di un
dolore universale nella universale lotta fra il bene e il male: è questa lotta
che ”decide il nostro destino e / manifesta la nostra natura”. Gianni Calamassi
torna alla ricerca della parola e delle ”frasi che generano la vita” per vivere
pienamente la vicenda umana. La tensione verso l’”oltre”, fuoco di tutta la sua
poesia e dei suoi sapienti disegni a china, trova la sua dimensione nella
profondità della coscienza ”di esistere e tendere alla Verità. ” Nell’uomo
convergono Assoluto e transeunte. Nella lirica “Realtà dei sogni”, Gianni
Calamassi scrive, con suggestivo ossimoro,”… ogni secondo si esaurisce / rapido ed
eterno”.
E legge la sua ”Altra ventura” negli
sfuggenti riflessi delle stelle in un mare notturno appena increspato, che lo
richiamano al mistero del creato, mentre i “desideri delusi” del passato sono
abbandonati come dall’albero le prime foglie secche. La ricerca dell’autenticità
lo rende consapevole di essersi incamminato in una strada “in salita”. Così
infatti intitola la lirica che segue. Il poeta si rende conto, scegliendo la
Verità, di dover accettare il suo limite creaturale e rinunciare a credersi “al
centro del tempo”. Ed evoca la narrazione biblica della ribellione di Adamo, che
dette inizio alla lotta fra il bene e il male, e la Promessa dell’Abbraccio
Riconciliatore, che il Cristo portò a compimento . La lirica si chiude sospesa
su una speranza che resta nel mistero: ”Piango ancora la morte di Cristo
domandandomi se tornerà / o mi lascerà morire”.
Ancora sospese sul limitare fra morte e vita
sono le liriche ”Un mare di solitudine”, ”Anime silenziose”, ”L’ultimo respiro”,
“Neanche una parola”. L’interna solitudine del poeta tuttavia non lo isola
dalle vicende contemporanee o dalla memoria della storia, a cui guarda con
profonda ”pietas”. In “ Vita in città” si ferma a vederne la violenza che
toglie la vita alle vittime della strada, ignorata dalla colpevole indifferenza
dei cittadini. Della città trascura le perfette architetture e ferma lo sguardo
su una periferia grigia e maleodorante che intristisce e avvilisce la vita (in
“Periferia”).
Chiudono la raccolta due liriche che
portano lo sguardo lontano nello spazio e lontano nel tempo.
Dalle periferie urbane alle periferie del
mondo: la lirica “Africa”, due volte ritmata su un acrostico, evoca l’antica
terra delle savane che nutre greggi e accoglie nelle ombre della sera la danza
delle donne nell’attesa del ritorno dei pastori, mentre rapaci e fiere
riprendono minacciosi il dominio del territorio. A questa scena di un tempo
arcaico il poeta contrappone il fremito di rivolta dei giovani di piazza Tahrir,
a cui, partecipe, si rivolge con la preghiera: ”Inshallah!”.
L’ultima lirica ”Nel cielo il vento della
Shoah” Gianni Calamassi ci rende sempre presente quel dominio del male assoluto
che ha travolto l’Europa prima e durante la seconda guerra mondiale con la
“razionale” pianificazione dello sterminio di Israele. Nel grigiore novembrino
del cielo nordico che con la pioggia piange l’omicidio di milioni di vittime, le
loro anime sono ancora fra i fili spinati del campo, strette in massa come
quando attendevano la soffocazione con le ”Spire verdastre dei serpenti ariani”.
Sui muri delle camere a gas hanno lasciato le loro ombre, a monito per tutta
l’umanità. Un monito accolto dal poeta : ”Non scorderò le voci nel
vento / Chiedere giustizia ai pezzi / Di cielo, come voi caduti, / Mentre il sole
continuava / A battere indifferente.” Quelle voci impegnano la libertà dell’uomo a
non togliere mai più dignità e vita a un altro uomo.
Gianni Calamassi ci lascia al silenzio
dell’ascolto.
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