Introduzione a
Orcheomenos
di Grazia Giovannoni
la
Scheda del libro

La seconda raccolta muove
dal’esultante libertà de “Il tridente” e il poeta fa danzare i suoi versi: le
composizioni sono più ampie, i ritmi si compongono anche nelle distese lunghezze
di novenari, decasillabi endecasillabi, come nella lirica ”Noi siamo le vostre
crepe” che si offre per prima al lettore.
C’è anche un motivo
esistenziale di esultanza per cui la danza, evidenziata dal titolo, manifesta la
raggiunta pienezza d’armonia anche nella vita: Gianni Calamassi è divenuto
padre.
E al figlio porta la
protezione dell’”edificio che vi accoglie” quasi che genitori e
generazioni precedenti volessero ritirarsi soltanto nella custodia della nuova
vita ed aderirvi, a testimonianza di un lungo passato - le crepe - che in questa
custodia trova la nuova ragione di essere: ”Noi siamo le vostre crepe /
l’edificio che vi accoglie / porte e finestre sulla vita”.
La
protezione non ha lo scopo di chiudere, ma di preparare teneramente (“Tetto,
chioma, scialle caldo, riparo / scrigno all’esplosione viva / della crescita
urlata”) l’uscita felice dalla custodia al nuovo sentiero per la vita,
ricoperto dal fresco tappeto di foglie autunnali; ancora la bella immagine di
una generazione genitoriale che si fa guida all’avventura della generazione
futura con l’offerta generosa di tutta l’esperienza di una lunga stagione che la
porta al congedo.
La
lirica che segue, ”Il cucciolo” è ancora un esempio felice della parola che
apre la sua sonorità a evocare immagini :”… corre veloce / … salta, finge uno
scarto / si avventa …/ scuote, ritorna a correre / col giovane cuore / che gli
scoppia in bocca / per la felicità: / è primavera”.
La
medesima felicità ritmica ricorre in “Oblìo”, sostenuta anche dal rapido
seguirsi delle consonanti liquide :”… e all’aquilone / vola il ceruleo
sguardo / fra i riccioli capelli …”, al gioco gioioso di chi si apre alla
vita fa riscontro l’ombra di un ignoto timore che afferra il padre e si dilegua
in un sospiro. nella lirica “Angoscia” che è preludio a ”Gradino”.
In “Gradino” Gianni Calamassi ci offre una
delle più belle espressioni della paternità che ci sia dato di leggere: la
maturità del padre si fa tutta sostegno e forza per lo slancio del figlio, su
uno sfondo di altezze rocciose aperte su ampie pianure (“L’ascesa della vita
…”); si fa umilmente “gradino nei punti / più aspri … “quando”… la mano
cerca il saldo appoggio”. Il ritmo si sostiene sicuro sopratutto su
settenari e novenari per interrompersi perentoriamente nel penultimo verso
binario ”ecco” e chiudersi rapido in ”io lì vorrei essere”.
Impossibile dimenticare la fierezza generosa di questo ”ecco”, intensa sintesi
di una silenziosa dedizione paterna.
Le liriche che seguono
(“Sicurezza”,”Attesa”,”Chi ti lascia”) sono ancora tutte dedicate alla crescita
del figlio che la coppia genitoriale segue con trepidazione forzandosi al
distacco. Ma non ci sarà mai abbandono; il tempo rivelerà che ”… ci troverai
/ lungo la strada / oltre la proda / edera e ulivo / lungamente avvolti.”.
Il poeta ci ha reso partecipi del suo venir
danzando con l’esplicita scelta di chiamarci alla condivisione della sua
esultanza, recuperando la bella parola del greco antico che accompagnava il coro
verso lo spazio aperto dell’orchestra.
E perciò dispone le liriche successive
nell’architettura dell’antico teatro greco, luogo per eccellenza della
comunicazione partecipata.
La prima disposizione è nel “diazòma”, la
”cintura” orizzontale che divide i sedili della cavea, sostenuta dal fianco di
un lieve rilievo collinare: è un percorso di passaggio e di raccordo. Così le
liriche richiamano a una solidarietà esistenziale nell’attraversamento della
vita.
Ecco, nei rapidi versi di ”Sogno”, lo
svanire del cavallo ardito còlto sul punto di partire per la corsa, quando ”…
all’alba / la stella dell’ultima / speranza è già / spenta”. La lirica
seguente, appunto ”L’alba”, incita baldanzosa a “la corsa al nuovo giorno”
con un ritmo veloce che si stempera soltanto nei due endecasillabi finali. A
quel ritmo rispondono squillanti i quattro versi di ”Martello” al cui pulsare
”prende vita / l’opera diuturna”.
La giovane “Esperanza” a cui il poeta dedica
la lunga composizione seguente, sembra prender luce da questa promessa di nuovo
giorno, per la sua femminilità appena sbocciata, ”preludio sessuale al suo
trionfo di mamma”. Il tema dell’attesa ricorre ne ”Il mare di maggio” e “Il
giardino spoglio”, paesaggi di cui il poeta coglie la tensione verso la nuova
stagione: ”Tutto è teso come il panno / liscio del biliardo / in attesa della
partita.”. Ed ecco l’annuncio: (”la Pasqua è vicina / lieta attraversa
l’incrocio …” in”Calvario”) che solleverà il vecchio che vive il suo
calvario di debolezza fisica; ed ecco ancora ne ”La giustizia ti accolga”,
immagini luminose (“… e sia fresco il mattino / di pace leggera a
sopportare”) che, anche al tramonto, rivelano che “l’ultimo cammino / non
è ancora percorso”.
Seguono i ”Pinakes” (“tavole da disegno”
secondo il significato greco), che offrono brevi quadretti e richiamano
l’attenzione del lettore in modo vario e leggero, quasi che Gianni Calamassi si
fosse preso una pausa e invitasse a sorridere con lui di qualche aspetto della
vita. La prima lirica ”Tutto è normale” è giocata sugli ossimori (“luna
quadrata: freddi falò; non sto male / se perdo la vita al bureaux”) che
evidenziano le contraddizioni profonde di una “normalità” acriticamente
accettata e subita: un tema forte, che tuttavia scivola su un ritmo saltellante.
Ha il tono di un piacevole “divertissement” anche ”Il talamo nuziale”; il
lettore è trasportato in una scena irreale, fra l’immaginario e la fotografia,
ma siamo ad Hong Kong, la città protagonista di tante storie esotiche, e ci
troviamo nel ”mistero del mistero”.
“Leggero”
è il gabbiano e “leggeri i fiori secchi” nella lirica ”Tersa è la sera”,
di luminosa serenità. Prelude al ritmo felice, scandito su fanciullesche rime
interne (sera / nera; preghiera / primavera), di ”E’ primavera”, spensierata
corsa verso l’amore.
E spensierati e giocosi sono i versi de ”Il
capo è confuso” e di “Un sacchetto lucido”, mentre, in chiusura, ”L’alba degli
uccelli” e soprattutto ”Adegua il tuo cammino” sembrano un brivido interiore, un
indistinto timore che il passo della vita non possa esser sempre quello
esultante della danza:…”senza preavviso, / dietro l’angolo, il bosco /
s’infittisce, si fa brulicante / il fondo e frena la luce / ogni intreccio di
foglie /…”.
I ”Periactoi” (tavole girevoli sulla scena)
riportano tuttavia all’orchestra del teatro greco e richiamano al variare delle
situazioni, al mutare del tempo, raccogliendo le liriche con cui Gianni
Calamassi si congeda dal lettore. La prima,”Silhouette” appare quasi la metafora
del maschile e del femminile, molto originale, incisivamente espressa con pochi
tratti descrittivi di una coppia in cui l’uomo è fermo e forte nel suo profilo
marmoreo, mentre la donna è fusa nel rame sul cippo di resina, raccolta a
custodire “il seno lieve” misteriosamente quasi inafferrabile:
”Girami intorno come / trottola fatale - se puoi - / ti aspetterò.”
Densissima la lirica che segue,
”Trasposizione”, una presa di coscienza della relazione del poeta con il suo
”fare poesia”, non un “prodotto”, ma una relazione profondamente identitaria:
”vivi in ciò che scrivi”. L’intensità di questa relazione va oltre la
linearità temporale in un presente che comprende fluidamente passato e futuro
(“Ho sognato quello che è stato fatto / o quello che farò?......Qualcosa è
sempre stato vissuto / del mio futuro”). Il ritmo, che ormai il poeta guida
con sicurezza, accompagna e scandisce l’espressione. Ed è gioioso il ritmo di
“Angeli” , di nuovo ritmo di danza, davvero un inno di chi canta un amore
condiviso riflesso dai volti degli ”angeli del sorriso”. Danzano sulle rime -
rare nel poeta - i versi di ”Un abbraccio” che narrano lievemente un amore
concluso senza rimpianti, nell’attesa di una nuova aurora; ancora sulle rime di
sfuggenti settenari e senari “saltano” i quattro agili distici di “Cerca”. Ormai
Gianni Calamassi ha conquistato la sonorità ritmica della parola: c’è ancora una
pausa nella danza (in ”Ho speso tutto”), una sosta, quasi un avvertimento che
la gioia giocosa ha consumato la levità dei sogni: ”… l’occhio si spegne /
senza sogni all’alba”. Ma sono le ”Parole come compagni” a dare consistenza
alla voce del poeta oltre alla musicalità del ritmo: i significati cominciano ad
avere il peso di un corpo e diventano ”compagni” che convocano gli amici
destinatari. Intenso è il richiamo all’oblìo delle parole, che lascia vuoti non
colmabili. Chi manda parole e chi le accoglie nell’ascolto sia unito nella
consapevolezza di quel che può venir meno nel cammino comune: ”Amico
abbracciale tutte / e osserva chi si fa notare / per la sua assenza: / perché
non ci sono più parole / per colmare i vuoti”.
“A raccolta
compagni!”
Con questa finale chiamata a raccolta Gianni
Calamassi ha fatto della parola il ”pane comune” da condividere.
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