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Affari di cuore
Paolo Ruffilli, con il
suo ultimo lavoro (Affari di cuore) ci offre un’altra
preziosa occasione letteraria che si inscrive, arricchendola, nel suo ormai
vasto e apprezzato itinerario poetico e ne timbra ancora l’originalità
dell’approccio ai temi rilevanti dell’esistere nel suo più forte esplicitarsi.
Ne viene fuori una poesia potente e vibratile, densa di umori e vitale, soffusa
di un erotismo inquieto e famelico, invasivo e ‘spudorato’. Il poeta si aggira
nei meandri dell’esistenza con la forza ostinata di un bulino voglioso di
scandaglio, permanentemente impegnato nella ricerca del risultato, e perciò
prono a una primazia dei sensi che segna l’intero testo, lasciandosi pervadere
dall’assillo inderogabile di un possesso che si realizza e compie nel gesto di
una carnalità rigogliosa e a tratti iperbolica.
“È come se
| mi
avessero strappato | una parte di me | e senza più una gamba | o un occhio | o
un braccio | avanzo nella nebbia, | non riesco più | a orientarmi: un vuoto mi |
trascina verso il basso |… mi fa sentire | la vita cosa vana | e inutile
fastidio | se mi stai lontana. (Nella nebbia, pag. 23).
Siamo a un’esuberanza in
cui la trama dei sentimenti si trasforma in pulsione dell’io prono a una brama
di conquista dell’amato invasiva e insaziabile. La stessa parola del poeta
assume una funzione ancillare verso il traguardo appagante dell’approdo amoroso.
E il poetare allora si fa monologo e dialogo allo stesso tempo, l’uno e l’altro
tesi a una reciprocità intensa nel suo scivolare beato nella carnale scoperta
dell’io nell’altro, assecondando le urgenze disperanti di una sensualità
naturalmente incline ad espandersi.
Emerge allora nel parlare
poetico una simbiosi radicale tra l’amante e l’amato, tra il sé e l’altro,
sorretta dalla gioia del darsi che si esplicita nella fusione degli opposti in
una radicale entropia. Nell’ animo del poeta si fa spazio allora un bisogno
affranto di fisicità in cui ogni confronto è scontro, ogni brama è ricerca e
urgenza, ogni desiderio è lussuria, sentimenti destinati tutti a sciogliersi
nell’ appagamento amoroso.
“E’ il tuo modo | di
tenermi | sulla corda | comunque reo confesso | di un amore | che mi rende |
regicida | della tua regalità. | sacrilego impostore | anche da amante | e
adoratore”. (Sulla corda, pag. 105)
Nei suoi stilemi poetici
l’autore oltrepassa deliberatamente il recinto del linguaggio usuale e stantio,
pudibondo e tremulo, per accogliere in sé e allo stesso tempo donare al lettore
le proprie pulsioni vitali e vitalizzanti.
Ci viene così trasmesso
l’umore di una poesia fortemente innestata in una tensione erotica, libera da
qualsiasi limite intimista, protesa ad animare tutto il testo poetico, ad
espandere ogni risorsa semantica nella ricerca di una genuinità di linguaggio
aperta a ogni sentire e consegnata infine all’orizzonte di una tensione che
nella sua poeticità si fa profondamente umana. Anche la rima libera, che cadenza
qua e là il fluire della poesia, viene usata come una risorsa che esalta ed
accentua il messaggio poetico.
Probabilmente è proprio questo linguaggio che non rinuncia alla sua cruda
materialità, la forza trainante di questa poesia che gioca tutte le sue
potenzialità emotive nella parola libera e scarna, perciò densa di una
autenticità che si esprime nella sua voglia di colpire i traguardi a cui mira.
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Recensione |
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