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Quattro quarti di luna
L’impressione che si ricava dall’insieme del libro è quella di un passaggio da
una scrittura a una locuzione, se per scrittura, impiegato qui in accezione
particolare, s’intenda un discorso poetico che muove da se stesso a se stesso,
mentre la locuzione suppone proprio nel suo modo stesso di spiegarsi un
destinatario. Non è importante che nella "Libreria del Cedro", come in altri
versi della prima sezione, il destinatario di questa locuzione sia perfino
esplicitamente esibito; ciò che è rilevante è piuttosto la struttura particolare
del discorso. In realtà questa locuzione non si dirige a nessuno; è ancora
ipotetica: ma basta questa ipotesi a rendere naturale l’incorporazione di una
citazione (dantesca, ma meglio stilnovistica) alla chiusa della "Libreria del
Cedro", che si qualifica non come mero intarsio letterario, bensì come momento
in cui letteratura e vita si integrano, e la parola è la parola di locuzione.
In
certo modo quella citazione mi sembra risarcire l’ironico-disperata
"dichiarazione di fallimento" dell’ultima pagina (ma l’ordinamento dei testi è
cronologicamente decrescente, dalle composizioni più recenti alle più tarde):
"si ritrattò il poeta / dai capelli ritti, / il teoretico saccente / per
contraddizioni lacerate". Certo la poesia di Ruffilli, l’intero suo libro
Quattro quarti di luna, non dicono "come" (forse nemmeno "se") la
conciliazione fra i due poli della Parola e della Storia sia possibile. E certo
c’è nella sua posizione una larga sfiducia sui poteri dello scrivere e insieme
un rifiuto alla sfiducia totale; "Nella penombra gialla" lo testimonia
attraverso spie grammaticali, l’alternativa di modi verbali: "scioglie…
scioglierebbe".
Ma il compito di un libro non è, naturalmente, risolvere semmai proporre. Mi
pare che Quattro quarti di luna disegni una personale parabola di crescita, in
continuo acquisto, suscettibile di sviluppi, ma intanto già lucida e coerente,
nel più generale panorama della poesia sicuramente importante.
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Recensione |
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