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Elegia e dannazione della carne

La recente pubblicazione integrale di tutti i poemi di Veniero Scarselli (Il lazzaretto di Dio: rospi aquile diavoli serpenti, Bastogi 2004) ci dà l’occasione di approfondire lo studio di questo straordinario Maestro che ha scaricato come spazzatura minimalismo e intimismo recuperando la nobiltà etica del poema e la sua potenza narrativa. Da sempre Veniero Scarselli si è dedicato alla scrittura di poemi di forte pensiero che trattano scottanti temi esistenziali; nel suo terzultimo volume Il Palazzo del Grande Tritacarne (Campanotto, 1998) il filo conduttore è il tema del peccato e delle sue conseguenze. Secondo la sua concezione, il nostro essere corporeo è affetto da un peccato originario risalente agli albori della vita e all’imperfetta aggregazione delle molecole primigenie costituenti il protoplasma; la legge fatale dell’Entropia cui è assoggettato l’intero universo fa sì che la carne a poco a poco si corrompa per tumori e malformazioni che sono l’espressione di questo Male originario e che portano infine alla totale autodistruzione, alla morte; la quale trascinerebbe con sé anche l’anima, se questa non si riscattasse col dolore che la morte porta inevitabilmente con sé. Questo libro è una sorta di terribile, grottesca parodia dell’iter ospedaliero

allora pronta, decisa, appropriata
sarà la cura, e tutti fiduciosi
nella perfetta riuscita dell’operazione,
anche medici e speziali, che impazienti
come soldati si gettano con valore
nel cimento con l’orribile Bestia
corpo a corpo estirpando budelli
dalle tristi cavità da cui spandono
veleni alla persona sfortunata.

e spiega come venga ottenuta la liberazione dell’anima dalla carne, e quindi la sua salvezza, attraverso un inedito processo di amputazioni, triturazioni, distillazioni, e finale sublimazione. Tutto ciò è descritto da Scarselli con poematico furore in una stringente chirurgica tenzone facendosi strada con sublime orrore fra bisturi e mannaie, orifizi e budelle, milze e polmoni, cuori e uteri, secrezioni ed altri fetidi liquami. Tutti i residuati degli umani tronconi sono bene in vista – quasi a “memento mori” – sul bancone del Grande Mattatoio dopo che per un’intera vita prensili mani, avide bocche, occhi rapaci e sessi ormai flosci si sono arrangiati a stringere, guardare, baciare, copulare. Tutto il repertorio dei vizi e delle virtù, dall’arroganza alla pietà, dalla superbia all’umiltà, dall’odio alla tenerezza, gonfia le vele di questo possente poema, concentrato in un pacchetto predisposto e picchettato senza che vi sia per noi alcuna via di fuga dalle segrete del Palazzo scarselliano. Macchine tagliatrici, squadre di monatti, e assistenti di fede cieca e assoluta nella ragione suprema del Grande Tritacarne operano coordinati come una perfetta catena di s-montaggio gerarchicamente organizzata e finalizzata alla realizzazione del cruento rituale iniziatico e della solenne orgia suprema, ove ciò che avanza di quei tronconi ancora recalcitranti, più volte amputati e scattivati, sarà macinato a dovere e distillato per estrarne l’anima; la quale, mondata e purificata d’ogni carnale attitudine e attributo, sarà sublimata in neutroni ed elettroni nell’ultimo stadio dal potente ciclotrone di Dio e potrà assurgere al grado di puro spirito.

Nella gigantesca cattedrale fabbricata dall’eccezionale fervore creativo di Scarselli ogni trattamento di favore e/o di riguardo per censo, cultura, potere, insomma tutti i cedui orpelli di cui si riveste l’albero dell’umana vita, è rigorosamente abolito in funzione esclusiva del comune iter salvifico della triturazione: l’unico e comune fine, viatico della carne clamante e impetrante la quieta e silenziosa pienezza dello Spirito. E’ un’umanità che stride, scalpita, sbava nella morgue comune, ove però ad ogni singola personalità è riservato dal Poeta un trattamento individuale, mirato e più o meno benevolo. Personaggi oscuri ed ignoti, altri ben noti (si vada alle pagg. 65, 66, 71), tutti rappresentati con incisivo segno di bulino, magistralmente balzano “dalla cintola in su” – quasi novelli Farinata – in tutta la misera baldanza o iattanza della loro antica fama, ma qui umiliati nella supplice elemosina d’un po’ d’attenzione da parte degli indifferenti monatti salomonicamente all’opera. Ma in tanto rabbioso, squallido abbrutimento, Scarselli trova modo e spazio per accarezzare con lo sguardo e con versi che hanno delicatezza di petalo anche il rinnovarsi di quel caldo miracolo d’amore che insiste a lucciolare qua e là illuminando questa sorta di epica Malebolge come un anticipo della resurrezione (si vada alle pagg. 55, 56, 57, 59).

Concludendo, nell’edificazione del mirabolante, mostruoso, truculento Palazzo, l’invenzione dell’architetto Scarselli, arditamente e compiutamente realizzata, trascina anche noi con lui con tutti i pori dell’emozione e della mente come pelle permeata al filtro della sua pervasiva, grottesca, dissacrante ironia, ma che mantiene un’infinita, accorata, solidale pietà per tutto il povero popolo degli uomini, Adami ed Eve alle prese con la propria intrinseca tirannide: la ignobile carne corrotta destinata a dissolversi infine, con l’aiuto di sofferenze e abiezioni, nella nobile sostanza dello spirito. Giunti infine all’ultimo piano, ultima stazione nella via crucis di questo infernale purgatorio, janua coeli dove il ciclotrone di Dio attende l’umano prodotto triturato per cavarne l’anima, pur frastornati e allucinati dall’overdose di questa presa diretta su tanta lacerata, decomposta ed esposta dolorante carnalità, non si può non rivolgersi con stupefatta gratitudine a Scarselli che ci ha condotto, novello Virgilio, attraverso le mostruose stanze del Palazzo dove il Grande Tritacarne lavora con l’indefessa, algida pazienza della certezza, in attesa di lavorare un giorno anche per noi, che siamo ancora al di qua del ponte levatoio come folla accampata ai suoi piedi ma che non cessa mai di sperare di subito entrare e guarire, e che dovremo prima o poi attraversare per la penosa, chirurgica, salvifica purgazione.

Con queste note abbiamo voluto rendere a Veniero Scarselli emotiva testimonianza per l’unicità di tanto stupefacente e struggente manufatto, che in forma di inusitata alta poesia sublima il declino, il naufragio e l’orripilante abbrutimento di ciò che sembrava il trionfo della carne, essendone un imprescindibile passaggio per la sua limpida resurrezione.

Recensione
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