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Molte volte ho espresso intenso
consenso e convincimento critico alla cospicua letteratura di Galeotti, prodotta in
gran parte in questo primo decennio del secolo. Nella felice occasione di questa
sua inedita ‘sortita’ in Versi e racconti (dal titolo dell’ ultima
pubblicazione) ho il piacere di dedicare all’A. questa brevi riflessioni di
lettura, che aggiornano ‘in progresso’ quel mio convinto consenso.
Nel nostro obeso panorama
letterario, oberato da tracimanti valanghe di poesie e prose senza verso e senza
senso, Galeotti si riconferma infatti fra le poche ‘vette d’eccellenza’. Nella sua
devota costanza e valoriale sostanza di ‘consumato ulisside’ – come scrive Manescalchi
– egli viaggia il tempo del suo personale divenire come un
“fanciullo antico”, in vivo rapporto fra cose, eventi, intuizioni e sentimenti,
assolti e salvati nell’intemporalità della parola: un progressivo ‘fanciullino’
che percepisce e aderisce per intendere e comprender-si in una lucida,
psicagogica analisi dove rimpianti e rimorsi, gioie e dolori, nostalgie e
ricordi, goduti e sofferti, inflitti e configgenti nella tempestosa navigazione
vitale, s’incontrano e s’ in-oltrano, tutti nuovamente insieme come i giovani
“compagni e compagne d’allora”, marcando l’indefinito orizzonte dove “il gioco
del tempo” condiviso ritorna “dalle ardue pendici del sogno” serenando il
tormento e il tramonto dell’ “ombra che fugge” in quell’ “altrove” ov’è
“nascosta la luce”: “solo un tenue chiarore” di aurorale rifugio, dove, “oltre
mare” e “oltre canto”, risorge il segno di quei “semi d’amore” custoditi nella
“gioia segreta del pensiero” di primaverili memorie e storie, ancora ignare e
indenni dal ‘chiuso morbo’ degli interrogativi affanni, insulti e inganni
dell’età matura. Facile, fragile, sterile età, ‘combattuta e vinta’ nel
“labirinto oscuro” degli interrogativi giorni/gorghi della perigliosa
navigazione vitale, presaga e preda del pernicioso “inganno più atroce”, già in
vista del tramonto di quella irrequieta, inquietante età matura il poeta ritrova
‘la diritta via’ per accendere la mente al serenante “pensiero forte” della
sua primèva, inerme, ignara, innocente dolcezza e freschezza, “sotto la polvere
dimenticata”: una fàtica, poietica iniziazione che, senza estinguerla, ‘lungo
(ne) illuda la sete in via’ di/per esprimere e “vivere il sogno” di
quell’inattingibile “verità nascosta”, che “copre di mistero l’invisibile”,
“albero nudo” in trepidante attesa di rifiorire al suo inconsutile primo vere.
E, concludendo
come e con Tommasi, ‘tutto risulta puntuale, niente è casuale nella collocazione
contenutista e ritmica del volume, dalle diluizioni lentamente distillate del
percepirsi diffuso nell’evocare, all’estrema essenzialità espositiva, di timbro
quasi orientale” che imprime modo e tono, senso e segno ad ogni verso e
racconto (da Deriva a Bianco e nero, da Dopo la pioggia a Greta, da A palazzo a
Il poeta, il racconto che su tutti si pone come emblematico sintomo e simbolo
che ognuno dei tutti compendia e rappresenta in metaforica “traccia di
romanzo”, affilata e risucchiata dal “gorgo del canto che la conclude: sopra
sassi orme strette | lupi bianchi nella notte | sale il cielo dai castagni | sulla
vetta la sua croce”.
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Recensione |
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