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Intervento critico a
Percezioni
di Giovanni Sato
la Scheda
del libro

Giovanni Sato.
Poetiche dello spazio, forme dell'immagine fotografica
Enrico Gusella
Direttore del Centro Nazionale di Fotografia
"Il
compito fondamentale della poetica consiste nel rispondere a questa domanda: "
Che cosa è che fa di un messaggio verbale un'opera d'arte?"
E’
quanto affermava il famoso filologo e linguista russo Roman Jakobson
in un
volume fondamentale qual è "Saggi di linguistica generale", ed è quanto credo
torni utile parafrasare per trovare punti, riferimenti e analogie circa la
complessa relazione tra la funzione dei testi visivi e dei testi verbali e, in
questo caso, tra poesia e fotografia.
Giovanni Sato, medico ed artista, nel senso più completo delle arti, in quanto
riesce – una bella sfida, eh? – a coniugare e a rappresentare le diverse
discipline artistiche – musica, poesia, fotografia, quindi suono, testo e
immagine – e a "collocarle" all'interno di una relazione che da sempre
caratterizza la scena artistica contemporanea.
Basti
pensare che fu proprio un grande poeta, come Baudelaire – in occasione del Salon di Parigi del 1859
– a"formulare" e a lanciare pesanti invettive circa
la nuova ancella delle arti che si affacciava sulla scena francese e parigina,
la fotografia appunto. Ecco, come allora il grande poeta francese vedeva la
fotografia:
"Nella pittura e nella scultura, il 'Credo' attuale della società
altolocata...., soprattutto in Francia (e non credo che nessuno vorrà sostenere
il contrario), è il seguente:
'Credo nella natura e non credo che nella natura (e vi sono buoni motivi per
questo) . Credo che l'arte sia e non possa essere se non la riproduzione fedele
della natura (una setta timida ed eretica pretende che siano scartati gli
oggetti di natura ripugnante, quali un vaso da notte o uno scheletro. Perciò
l'industria che ci desse identico alla natura sarebbe l'arte assoluta'. Un Dio
vendicatore ha esaudito i voti di questa moltitudine. E. Daguerre fu il suo
messia. E allora la folla disse a se stessa : ' Giacché la fotografia ci dà
tutte le garanzie desiderabili di esattezza (credono proprio questo gli
stolti!), l'arte è la fotografia'. Da allora, la società immonda si riversò,
come un solo Narciso, a contemplare la propria immagine volgare sulla lastra
...Siccome l'industria fotografica era il rifugio di tutti i pittori mancati,
troppo poco dotati o troppo pigri per portare a piena esecuzione i loro studi,
questa infatuazione collettiva aveva non soltanto il carattere dell'accecamento
e dell'imbecillità, ma anche il sapore di una vendetta" (G. Guglielmi - E.
Raimondi (a cura di), Charles Baudelaire. Scritti sull'arte, Torino,
1981,pp.220-221).
C'è
da dire poi, che già dalla metà del XIX secolo, la fotografia vantava nel campo
della ritrattistica straordinari personaggi del calibro di Eugène Disderi, Nadar
(che fotografò lo stesso Baudelaire) e Julia Margaret Cameron.
Via
via poi, sono assai noti gli sviluppi e le vicende dell'impresa fotografica, del
suo ruolo tra le altre arti, e soprattutto il suo ruolo nella comunicazione di
massa, teso non solo a raccontare fatti e vicende del mondo, ma anche ad essere
lo strumento di una sensibile ricerca per un'arte complessa e per nulla
scontata.
Anche
in questo senso risulta certamente importante, individuare terreni di incontro e
di relazione con le altri arti – la poesia e la letteratura ben si prestano
lungo questa direzione. Non è un caso, del resto, ricordare Baudelaire, e le
vicende di allora, ricordare come segni linguistici diversi possano
essere espressione di sinergie funzionali alla stessa conoscenza dell'individuo
e di un paesaggio – umano e ambientale – a cui far riferimento, quale modalità
di vita quotidiana, rappresentazione del proprio tempo e della propria storia.
Il
terreno di analisi e lettura, tra poesia e fotografia, quindi, oggi più che
mai,continua ad essere il motivo per una presa estetica suggestiva, per una
forma concreta volta a disambiguare le opere d'arte e a renderle fruibili e
comprensibili.
Così
interpretare e "rileggere" il testo di un autore, ovvero la poesia di Giovanni
Sato, e riformularla sotto una "luce" nuova e altra, risulta essere cosa
di certo complessa e di non facile risoluzione, ma risulta essere anche
l'espressione di una rappresentazione con cui confrontarsi e alla
quale tendere come modo per andare "verso",quale segno che rinvia a un altro
segno ancora – dal testo all'immagine, da una cifra all'altra,verso
un'impronta o, meglio, le "forme dell'impronta".
Ma in
questo "gioco delle parti", in questa "condivisione" dei testi,subentra anche
una posizione empatica con cui misurarsi. Subentra la necessità a identificarsi
con un testo e ad esprimerlo con un codice altro, una lingua altra, che diventa
il motivo per una ri-scrittura delle fonti, quella di Sato e dell'interpretante,
l'autore e l'attore.
Sì,
il testo poetico diventa la forma visiva, la lingua che assume una configurazione quale rappresentazione di un senso e di luogo, quello poetico
naturalmente.
Il
confine, la soglia o il limite della rappresentazione figurata è solo uno degli
aspetti che governano il quadro espressivo e narrativo di Sato, alla stessa
stregua in cui i fotografi si cimentano nell'interpretare il testo,
nell'accedere a una lettura da cui trarre fonte di personali ispirazioni, le
stesse che poi si trasferiscono sulla pellicola fotografica, e che danno luogo a
un'immagine.
Non è
un caso, del resto, che Giovanni Sato, sulla sua stessa impronta testuale, operi
su termini e concetti che con l'immagine hanno molto a che fare:
la percezione, il transito, lo specchio o la luce, l'ombra e l'anima, il
contrasto e la metamorfosi, che sono non solo i titoli di alcune poesie, ma una
sorta di vera e propria consegna teatrale e autoriale, il segno
di trasmissione, che il fotografo può così "raccogliere " per dar corso alla
propria narrazione.
Come
si può ben capire, Sato, opera anche su questa scala delle ambiguità estetiche e
su contenuti profondi, che gli consentono di entrare ed uscire da territori
contaminati, dove la sinergia delle arti diventa la sua forza, il suo sguardo per un pensiero, o per una poetica dello spazio.
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