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Variazioni sul tema
Non a caso la giuria del
Premio Val di Comino ha deciso all’unanimità di assegnare il premio per la
poesia a Paolo Ruffilli, celebrando così la lunga fedeltà dell’autore a una musa
cangiante, animata da un ventaglio di studi senza confini di genere. L’occasione
è la recente pubblicazione del volume Variazioni sul tema (Aragno), che
raccoglie quaranta anni di poesia, subito riconosciuta dai maggiori autori del
nostro tempo – (Pasolini e Zanzotto, Caproni e Giudici, Raboni e Bonnefoy, solo
per citarne alcuni) – come la voce inseparabile dalla musica “dal timbro lieve,
frutto del più raffinato artificio”, disse Vittorio Sereni evocando una delle
muse a lui care. Il suo interesse per il pensiero – inteso come ragione e
immaginazione – mai disgiunto dalla filosofia e dai suoni che generano versi, è
il filo rosso di una strenua coerenza che scandisce anche la struttura di queste
“variazioni” che – come vuole il termine specialistico scelto da Ruffilli – non
sono altro che variabili
di un tema unico attraversato con procedimenti ritmici, melodici, timbrici e
metrici diversi. Il termine ha i suoi effetti anche all’interno del testo, dove,
ai criteri della variazione e del contrasto – altra parola “chiave” del suo
concerto lessicale – introduce anche un nuovo principio, quello dello
“sviluppo”, dove anche la fine può coincidere con il principio.
Lo testimonia la
struttura del volume, che va controcorrente, a ritroso nel tempo, come per
trasformare la vita passata in un annuncio di futuro, rispettando il codice
retorico fondante di questo libro, quello dell’ambivalenza, che applicata alle
parole in versi può essere rappresentata dall’ossimoro, nell’intento di
assegnare anche alla sua storia scritta uno spazio che annulla i confini
d’espressione e interpretazione.
Questa strenua coerenza
armonica, che permette la coincidenza degli opposti (trascendenza e alterità,
La Gioia e il lutto, leggerezza e profondità) e che risentono di una
vocazione filosofica d’oriente e occidente, assume poi una forma plasmata sul
registro di un ininterrotto dialogo interiore, essenziale in tutte le possibili
significazioni, ma così ricca di faville allusive da farsi racconto di
formazione o diario.
Sarà proprio questo
“percorso sghembo”, come avvertì Montale nel 1977 per annunciare il suo esordio,
a riservare altre sorprese per un futuro mai finito, quello di un tempo “a cui
tutti li tempi sono presenti” (Par. XVII 18). La prova è in queste
“variazioni sul tema” che si chiudono con Piccola colazione, una raccolta
che nel 1987 gli valse il prestigioso American Poetry Prize, siglando così il
suo ingresso nell’olimpo della poesia che resta.
5 ottobre 2014
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Recensione |
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