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Il cantare delle mie castella

Sarebbe piaciuto a Dario Fo questo libro d'irriverenti personaggi filtrati da un angolo di basso medioevo reggiamo. La danza scritta da fantasmi truci e maledetti nei castelli in lotta o silenziosi. Cinque episodi, preceduti ognuno da una di paesaggio in bianco e nero, che sembrano usciti come nebbia dai borghi serpeggianti d'appennino per raccontarci ancora dell'uomo nel suo essere profondo, lì dove il poeta psichiatra, nato a Cavriago, vuole trascinarci dagli anni '80 del secolo alle spalle, per renderci consapevoli delle nostre fragilità e potenzialità comunicative.

Scomparso il cavaliere eroe dei romanzi della Tavola Rotonda, si cena a castello in compagnia dell'ironia pungente di don Chisciotte. Il giullare racconta di strane cose capitate in giro, cose enormi che soltanto a nominarle viene la pelle d'oca. Per esempio l'episodio di Moriano, che nel luminoso santo mi ha richiamato il racconto Gli arcieri di Arthur Machen.

Oppure il natale dei revenants bizzosi di Oramala. Tutti i quadri viventi sono in quartine con rima e scorrono secondo il verso breve dell'ottonario (che ci restituisce il ritmo d'illustri esempi della lunga tradizione letteraria italiana fino a Carducci e Pascoli e oltre), a volte con verso finale in endecasillabo. Suono per il canto, appunto, secondo l'epica popolare, e la ricerca d'armonia dell'autore. Un'immagine del tutto personale mi ha accompagnato nella lettura del poema: quella del cerchio, la narrazione condivisa, l'eterno ritorno dell'affabulazione.

Il favellare attorno al fuoco nelle notti buie come nelle novelle del Boccaccio. E poi certo il desiderio, forza vitale e conflittuale. Sono scolpite a sbalzo le donne invulnerabili di Rossano Onano, altrove giunoniche felliniane e qui comunque potenti come streghe, libere in ogni atto e pensiero e per questo spudoratamente provocanti. Donne extravaganti, piratesse, temerarie e sboccate. Testimoni di pietra che urlano e ghignano. Donna tremenda è la contessa alle Moiane, segnata dal maligno in carne e spirito, come Cleopatra avvelenata da un serpente, non per scelta ma per nemesi divina. Terribile è altresì la bionda Ivelda morta per mano di Ezzelino da Romano, che ancora la desidera dal letto di morte, riapparendo dalla rocca di Bassano. L'episodio di Matilde, il più disteso, colpisce per la varietà di toni, dapprima sospesi poi violenti e burleschi infine lirici nel rivolgersi a Nostra Donna dal manto celeste.

Dai ricordi di scuola e da una visita a Canossa conservavo una memoria ammirata della Contessa Matilde, inflessibile e pietosa a seconda delle fasi della sua vita tormentata, e questo ritratto d'arte ha riaperto i giochi della fantasia, questa straordinaria capacità trascurata negli adulti del nostro tempo. Non si sogna molto, ormai, ed è un peccato. Ho negli occhi due donne letterarie d'indimenticabile resa scenica, sobillatrice dell'animo maschile e velenose come poche, che potrebbero aggiungersi alle orrifiche di Onano: la prima è la Ortrud del Lohengrin wagneriano, così come l'artista l'aveva reinventata psicologicamente dalle pagine del passato. Il doppio oscuro del cavaliere senza nome. Così la descrive Wagner: “Ortrud è una donna che non conosce l'amore. Con ciò tutto è detto. Sua natura è la politica. Un uomo politico è ripugnante, ma una donna politica è atroce. Questa atrocità io dovevo rappresentare. Essa è una reazionaria, una donna rivolta esclusivamente all'antico e perciò nemica di ogni novità”.

E poi lady Macbeth di Shakespeare, sonnambula con le mani perennemente insanguinate, tradotta al male tramite l'invocazione delle forze demoniache e morta fuori scena, quasi il Bardo avesse voluto proteggerla dalla condanna del pubblico. Che s'aggiri ancora tra noi domandando pace alla sua pena è del tutto probabile, proprio come per Matilde. Finzione e verità nell'opera di Onano si toccano. Il medioevo è l'oggi, sostiene Rossano, e credergli è giocoforza stimolante. Allora basta aprire queste pagine e si torna a giocare con i nostri sentimenti e le nostre emozioni. Se poi onnipresente è la distanza del narratore nel ludico e assorto avanzare di verso in verso, la cantabilità della vita prevale, costitutiva in noi. Dà speranza alla forza della dignità d'ogni giorno di superare il male. L'armonia diventa abbraccio. Cerchio. Cerchio affabulatorio, appunto.

Recensione
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