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Natura morta
Un trattato sistematico
In tutte le sue raccolte di versi, i suo romanzi e racconti
Paolo Ruffilli dispiega le scintille di una sapienza, di un pensiero, di una
gnosi capace di nutrirsi delle pieghe anche più dissonanti della vita
contemporanea ma allo stesso tempo di vibrare come un'arpa antica, come un
clavicembalo temperato su passi e ritmi, su fughe e controfughe che hanno
qualcosa dei leggerissimi azzardi matematici di Bach, delle scale, delle
vertigini prospettiche o delle illusioni metafisiche di Piranesi.
Tuttavia mai,
prima della nuova raccolta Natura morta, il poeta aveva dispiegato i capisaldi
del suo pensiero in un'architettura di taglio completamente filosofico, qualcosa
come un trattato a suo modo sistematico, come un manuale d’iniziazione ai
segreti di una vita equilibrata e armoniosa che può ricordare i “Versi aurei" di
Pitagora, certe opere della tradizione alchemica o, ancor meglio, i classici del
Taoismo.
Tutte le intuizioni sui rapporti sempre aperti, fluidi e dissimmetrici
del pieno col vuoto e viceversa, che attraversano i precedenti libri di
Ruffilli, tornano in questa nuova raccolta addensati in versetti sapienziali –
perlopiù brevi e scanditi in un ritmo incisivo, erratico, contrappuntistico,
atonale – in cui la dinamica della vita si disegna come un'altalena di guerra e
di pace “distratta nel suo / essere saldata / per unione nel distacco", come
"forma senza forma" o figura senza figura, come peso in quanto "matrice" del
leggero o caso votato alla necessità, come quel "margine sottile / che si
dispone tra / il niente e la materia", e così via, in un glissare di paradossi
che ha l'iridescenza di un vetro smerigliato e la durezza icastica di una lente
convessa. Di fronte a queste leggi segrete, forti come la pietra e imprendibili
come l'acqua, che innervano tutte le forme dell'esperienza, la possibilità di un
cammino di verità nasce non solo da una viva coscienza della relatività delle
cose (nulla è più rigido della ragione aggrappata al principio di non
contraddizione) ma anche, o forse specialmente, dalla capacità di accettare ciò
che è senza forzarlo, così come, quando si mangia, è bene alzarsi da tavola "mai
pieni del tutto" ("che resti un po' / di vuoto, di riserva"). Questa
accettazione è come un margine d'aria, un taglio di luce, un'intercapedine di
senso indispensabile per preservarci da ogni vana tentazione di possedere il
mondo nei nomi che gli assegniamo, negli strumenti con cui cadenziamo il tempo o
nelle dimore della nostra mente, perché "senza nome è l'inizio / del cielo e
della terra", e sfuggente a ogni peso e misura è il mistero "dell'eterno
scaturire / del principio". L'uomo consapevole abita il mistero come una casa
fatta di nulla e di tutto; è in grado di cogliere nella luce più viva il buio
più fitto; soprattutto non cerca di bruciare le fantasticherie e le illusioni
sull'altare di una verità denudata, perché sa che solo attraverso
l'immaginazione abbiamo accesso al "grande vero", quello che brilla attraverso
le sirene, le allegorie, i simboli e i miti.
Proprio come nei "Versi aurei" di Pitagora, che alle
riflessioni sull'armonia, sul numero, sull'anima e sul cosmo affiancano
raccomandazioni per l'esercizio quotidiano della virtù, consigli dietetici e
indicazioni pratiche di comportamento, la raccolta di Ruffilli si conclude con
un "Piccolo inventario delle cose notevoli" che è una specie di amabilissimo
erbario di suggerimenti per un'esistenza capace di nutrirsi con delicatezza e
prudenza del sonno e della veglia, delle bevande e del cibo, della quiete e del
moto. Attento alle abluzioni del mattino come a un imprescindibile rendiconto
con la vita profonda del corpo, con la sua quintessenza, paziente nel valutare e
distinguere i frutti delle stagioni e dei momenti, le qualità delle erbe e la
forza delle nostre necessità naturali, il saggio su cui il poeta proietta la
propria passione di giustizia e di limpidezza è una figura, allo stesso tempo,
possibile e utopica, radicata nella concretezza della vita e irradiata da un
quieto pathos dell'assoluto. Un'appendice concepita nella forma di appunti di
poetica ci svela con fiammante chiarezza come tutto il libro si connetta con la
restante opera di Ruffilli nel segno di una "ricerca dell'identità": "Noi stessi
e la realtà intorno a noi, tutto è parte di un colossale processo di
metamorfosi". Il mondo non è che il battito cardiaco di questo processo: la
poesia può solo farsene cassa di risonanza cercando di cogliere la "grazia"
anche dentro il dolore, la leggerezza che resiste anche nel perdersi dei nostri
incontri più struggenti, più dolci.
20 dicembre 2012
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Recensione |
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