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Straordinario accaduto a un ordinario collezionista di orologi di Veniero Scarselli è un singolarissimo romanzo in versi scandito in sequenze. "Poema metafisico" lo sottotitola l'autore, implicitamente riportandolo a una costellazione tanto ampia da poter comprendere i metafisici inglesi come i barocchi spagnoli e italiani, la Metafisica dechirichiana o Yeats (almeno per l'imago della Torre) come le vertigini piranesiane, i labirinti e i paradossi di Borges come i cieli tormentosi di Lautréamont. Pochi tra i poeti giunti a esprimersi in anni recenti sono, in effetti, così profondamente, fatalmente visionari, e pochi narratori possiedono un dono di scrittura così sontuoso e di così ampio respiro. Bisognerebbe forse risalire a Manganelli per trovare un termine di confronto  eppure il testo di Scarselli non è un epigono manganelliano: è qualcosa, credo, di originale nelle nostre lettere.

Qui tutto è gigantesco, eccessivo: perfino la dimensione in apparenza ordinaria del protagonista, "un onesto burocrate impiegato | alle regie poste", in realtà succube di un demone (quello del collezionismo) che lo avvicina, in una parentela ideale e fantastica, ai grandi "fissati" della tradizione romanzesca. Preso, come in una morsa, dal sogno di tesaurizzare il tempo, di stringerlo nell'abbraccio meccanico e dentato dei suoi congegni "d'ogni forma e statura" (pendole "d'antico lignaggio", "piccole vecchissime signore" con "campanellini | dall'incantevole accento francese", "pendoline a forma di gabbiola | per esotici uccelli del paradiso", "ed altre ancora che proprio sembravano | esseri umani perfino con un petto | e dentro al petto un cuore rosso e pensoso"), l'uomo è risucchiato, suo malgrado, nel vortice di un destino inaudito: in un'avventura abissale, attraverso la morte e la rinascita del tempo. A un tratto, una notte, tutti gli orologi della collezione si arrestano  mentre un silenzio di marmo piomba sul mondo, raggelandolo come un nudo tavolo d'obitorio su cui qualche Forza oscura stia dissezionando il tempo, ridotto a un immenso cadavere. Ma proprio allora l'Impensato si offre: nella livida alba che si disegna in cielo, "qualcosa d'eterno e d'altissimo" appare all'uomo: la Torre dell'Orologio Originale, del "padre di tutti gli orologi, | dove vengono incubate senza sosta | le uova del tempo".

Solo entrare nell'Orologio, diventandone parte a costo di farsi stritolare dai suoi ingranaggi, sembra ora all'uomo la sola carta rimasta alla sua vita immiserita, la sola ragione per cui continuare a vivere. Ma come entrare in questo che è forse il Ventre dì Dio? Non sarà ancora più impossibile che pretendere di ascoltare la musica silenziosa degli Astri o il canto mortale delle Sirene? In realtà l'uomo (diversamente dal K. di Kafka, condannato all'eterna soglia del Castello) riuscirà a penetrare l'Orologio, ma nessuno svelamento sull'essenza del tempo sarà concesso alla sua brama faustiana di afferrare "l'inafferrabile". Solo le forme repellenti e incomprensibili di una sorta di mostruoso Androgino lo accoglieranno nel loro innominabile viluppo, trascinandolo verso una Luce Sconosciuta, o verso una Cosa contemplabile non più d'un attimo, prima di rilanciarlo di schianto nell'ordine comune dei giorni.

Come ogni vero viaggio iniziatico, anche questo di Scarselli non ha una fine possibile, ma si apre, in extremis, a una domanda risonante di una sete d'infinito: "Ma esiste veramente il Tempo? | O è un luogo fittizio della mente, | una cortese fata morgana | che tiene imprigionato con benefiche | illusioni il viaggiatore assetato | nel deserto della vita, che è vuoto?"

A questa domanda fondamentale il lettore non potrà non aggiungeme altre, senza molte speranze di poter rispondere: da dove nasce, veramente, questo libro, da quale luogo, o non-luogo, della mente? quale magia astrale nutre le sue pagine, assicurando ad esse un ritmo avventuroso ed esattissimo, una pulsazione che ci inquieta e ci placa?

Recensione
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