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La Casarca
è tra le opere più significative in questa fine di secolo, essendo la Sicilia
luogo di oltraggio e di martirio dove la voce del Poeta è cosi sola da staccarsi
decisamente dal coro. L’amore per Palermo tra splendori e ferite sostiene le
ragioni metriche, inscindibili da quelle umane.
L’opera di Lucio Zinna è
creatura vivente e nel suo contesto formativo scorre come un brivido
l’intenzionalità di favorire un fine morale, perché la vita morale –
come scriveva Pareyson – può divenire arte senza che venga meno la sua eticità,
essendo egualmente privilegiati l’inventività e il valore morale cosicché
perfezione etica e armonia artistica sono egualmente apprezzabili. Forse mai
come in quest’opera così necessaria che nasce dal cuore della Sicilia
(nostra Patria di poesia e cultura!), l’intuizione pareysoniana ha la sua
vibrante e inequivocabile dimostrazione. Il titolo del libro stesso è fortemente
emblematico, unisce il significato di casa e di arca, di rifugio e
custodia di beni-valori, fino ad identificarsi col proprio essere creatura nel
corpo che è arca dell’anima. La sezione che da il titolo alle sequenze di versi,
è anche la storia di un’educazione sentimentale calda e raffinata insieme, tesa
a cercare nel nostro humus, nelle più profonde radici, le ragioni della
sopravvivenza e della testimonianza. Il discorso parte dall’infanzia con il
reperto «rosa-rosae...», per avvertirne ancora il profumo, affrancato «da
pignolesche ricerche | di vocabolario...». La rosa per il piccolo studioso,
incerto tra quella dei petali vellutati e la gota delle compagne, è la stessa –
immortale – di Giullo d’Alcamo «fresca aulentissima». Bimbo meraviglioso di
gaudi e delicatezze proustiane, inteso al vibrare delle sue percezioni, il poeta
ha iniziato prestissimo a sentire la parola in bocca, assaggiando la cosa;
certamente il pioppo con la dovizia delle sue tre p, quasi sputate
a raggiungere un punto nello spazio, gli doveva suggerire l’altezza e una sorta
di galoppo immobile verso il cielo. Assaporando il suo stesso cognome Zinna,
da un lato sfiorava infantilmente il seno materno, dall’altro percepiva l’amore
come nutrimento dell’anima e della vita, mentre la cultura esercitava il suo
fascino d’avventura ed armi; «parola longobarda ad indicare | un elemento di
fortezze antiche-merlo | di muraglia. Dunque sporgenza e metafora | di seno
verginale e di materna linfa.» Ne Il leone e il giglio il poeta ci ha
donato un raro esempio di albero genealogico che dai primitivi fasti gli ha
assegnato l’eredità preziosa di « nascere | in sostanziale povertà. »
Poeta fuori ruolo, al margine di un suo sogno geloso, Zinna annota versi anche
su biglietti di metropolitana o su involucri di dopo barba e nella sezione
Polaroid ci offre poesie immediate e vivaci in analogia con il procedimento
fotografico.
Tuttavia il cuore
dolorante de La Casarca è Palermo e ce ne illumina nella didascalia alla
sezione La campana del coprifuoco: « All’imbrunire, Palermo così
splendida, così ineffabile si prepara al coprifuoco. Nessuna autorità lo ha mai
decretato... ».
Lucio Zinna non ha
desiderato di lasciare la sua Isola, fedele ai dolori e furori della sua terra,
custode accorato dei suoi valori artistici, casarca appunto egli stesso,
in attesa che la colomba faccia ritorno col ramoscello dell’ulivo. Così la sua
poesia-colomba parte dalla casarca o dall’arca del diluvio, ci
visita, ma ancora non può ritornare a dirgli che il momento è giunto. A Palermo,
a Roma, a Milano c’è sempre il coprifuoco.
Altro miracolo della
poesia zinniana, oltre all’armonia di invenzione ed eticità, è la scrittura
sapiente (lo stile che è l’uomo!), cesellata e tuttavia spontanea nel suo
artificio. Essa richiederebbe ben altro spazio di una nota critica e solo il
cuore, oggi, può offrirle l’ospitalità più degna, nell’attesa di tempi in cui i
poeti veri possano uscire allo scoperto, senza essere bersaglio di esclusioni
premeditate, di oscure trame, legate al commercio che esclude la poesia come
bene di consumo ed accetta soltanto il poeta-manager. Forse accadrà quando i
poeti faranno parte della poesia trionfante, quella militante ha i suoi soldati
mercenari che neppure si divertono a stare a galla ai premi, ad accedere ai
quotidiani, a perlustrare i più piccoli comuni italiani (e le figure più
insignificanti e disponibili), per vendere i loro prodotti. Ma la Poesia ha
bisogno solo di se medesima e mai come in questo tempo che sembra contraddire
tale verità.
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Recensione |
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