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L'esilio di Veniero Scarselli

In Pavana per una madre defunta di Veniero Scarselli la madre è una potenza cosmica, divoratrice e divorata. L'universo maschile le si rivolta contro scosso, eviscerato. La pace o l'orgasmo illimitato è solo nella morte, vista come liberatrice. Con quest'opera veramente importante e coraggiosa i grandi monumenti della Madre, capolavori di sincerità ed ipocrisia, così frammiste da non potersi neppure distinguere, vanno in frantuini.

Dinanzi al cosmico stupore della morte che intorno fa il vuoto, il Poeta, perduto il rovinoso amore, sente la sua anima abbandonata al gelo di una Canossa senza speranza di tepori. Ma il distacco o taglio é già avvenuto al momento della nascita ed il figlio sembra non perdonare, a colei che lo ha generato, d'esser stato gettato e abbandonato nel mondo per una vita non richiesta. Da tale abbandono, stretto in una cultura di morte che lo soffoca, nasce la poesia di un uomo che oggi vive appartato dal consorzio "civile", traendo sostentamento dai prodotti della terra.

E' dunque la storia di una vita maschile profondamente civilizzata e insieme deprivata della sua speranza d'amore, che rifiuta i danni della civiltà tecnologica ricostruendo il suo essere integro, proprio mentre urla il distacco dalla madre, oggetto d'amore e di ripulsa. Nella dialettica lacerante di questo odio/amore la vita geme, offesa e dilaniata, oggetto di disgusto ed estremo rigurgito di brame; la madre è identificata con la vita e si pone davanti al poeta come oggetto doloroso e ostile, conchiglia che lo ha ospitato ed espulso. Da questo momento e per sempre la donna resta per il maschio una lancinante nostalgia di vita, diventerà oggetto di disperata conquista, di invidia, di odio, di stupro, perché sempre lo illuderà della vita; e lui la invocherà come vita e materna salvezza in una lunga, contraddittoria contesa.

In questo libro vi è anche il degout del corpo materno, scientificamente esplorato, e di sé come feto; infatti il figlio si sente sadomasochisticamente "tumore" e giunge fino ali' insulto della propria generatrice, chiamata "baldracca". La femmina dell'uomo, a differenza delle altre specie animali, trae vanto e sublimità dal compito di dare la vita, godendo d'essere divorata dai figli, a volte divorandoli, incapaci l'una e gli altri di spezzare il loro ferreo cordone ombelicale. Ma il figlio si rivolta, non ha chiesto di nascere, uscire alla luce, la sua casa era il ventre della madre: "fu lo stupro che costrinse la mia anima, | crudelmente usurpata. a nascere | con rabbia e dolore | come attonita faina snidata | dai tormenti dei cani cacciatori" (p. 14).

La madre è vista fuori da ogni sublimazione e, nel rivivere la propria condizione fetale con la mente dell'uomo adulto, il Poeta con disgusto "ascolta" "i sinistri rumori del tuo ventre | i borborigmi, i boati | delle tue avide digestioni | le sconce grida e gli orgasmi | dei tuoi sacrileghi amplessi impudichi" (p. 15). Cogliendo la bestialità dell'amplesso senza avere l'ingenuità animale, il Poeta si sente un bimbo tradito con il cuore malizioso dell'adulto; e la nascita rappresenta, per l'infante con la mente dell'uomo che ne rivive la condizione, una vendetta che si aggiunge all'altra biblica "partorirai con dolore": "t'avrei pisciato sul seno adulterino | tutta la mia aspra e cocente | rabbiosa delusione" (p. 15).

Il poema si sviluppa preciso, coraggioso come uno psicodramma liberatorio e lo zampillo di poesia nasce dalle ferite di essere diverso dalla madre, di essere maschio, a sua volta condannato a porsi ostile, come tumore molle schifoso, in grembo alla femmina o fattrice, quella che infine lo ha chiamato alla morte (ma, a sua volta, è stata chiamata!) e al male, tra prove innumerevoli in cui la creatura ha confuso odio e amore. Ma la Madre/Donna è pur l'unica certezza che resta nella terribile oscurità del mondo, "alfa e omega | delle nostre minuscole vite". Il servaggio a quest'ape regina è sentito quasi come una condanna e l'unico tempo felice tra madre e figlio è proprio quando il figlio non ha ancora coscienza della sua alterità; ma poi si ritrova d'improvviso davanti a lei maschio petulante come iena . La confessione drammatica tocca le profondità dell'anima; il "conosci te stesso è un tema arduo che è svolto con precisa ferocia, appunto per l'infinita dolcezza della creatura offesa: "io che forse volevo soltanto | essere semplice femmina, | tua uguale, tua carne, tuo stesso utero | ... | affondato nel tuo grasso nutritivo | in pace con la vita | alle origini del mondo" (p. 20).

Il dissidio con la vita trae origine appunto dalla madre, troppo eguale alla vita, alla verità. Il Poeta si umilia, esprimendo il suo dolore d'essere maschio, frutto avvelenato da una perversa cultura aggressiva e guerriera, "preda" che violenta e, a sua volta., è violentata. Le diverse culture maschili e femminili sono qui ben evidenziate e contrapposte in tutta la loro drammaticità: l'una che insegue la ragione, la legge, la guerra (Creonte), l'altra il cuore (Antigone). Tra queste due culture il ponte muliebre della pietà, una pietà che peraltro non spezza catene. Quale figlia di donna infatti lo potrebbe, dal momento che ella stessa è condannata a generare e magari a esaltarsi del suo ruolo, pacificamente accolto dalla specie animale?

Il poema è dunque l'inno brutale e dolce della separazione dalla carne della madre, l'esilio dell'uomo chiamato a vivere in un mondo tetro, senza stelle, atroce, fatto di maschi nelle loro cittadelle di cultura e di potere.

Ormai nulla trapela di te dice il Poeta alla salma della madre; e visita mentalmente, coraggiosamente, l'incesto: il sesso della madre è visto come "grasso fiore velenoso", come "oscena porta dell'inferno" (p. 26). Caduti tutti i veli, rovesciati i cippi della letteratura consolatoria, dove le mdri sono tutte sante, tutte povere muoiono per i sacrifici fatti in favo di figli lontani e ingrati che, per altri poi piangono e scrivono nobili poesie, credo proprio che quello di Veniero Scarselli sia l'unico inno possibile alla propria madre, alle madri dacché una cultura adulterata e beffarda ha tagliato in due il figlio del contesa salomonica. Resta paradigmatico questo raccogliere da parte Scarselli il succo stremato di civiltà che hanno privato sia la donna che l'uomo della scienza d'amore.

Anche la morte, protagonista ossessiva del poema, è vista infine con atto erotico, anzi come il perfezionamento assoluto dell'atto erotico (sacra eiaculazione), ma essa emette nel rantolo dell'orgasmo anche Dio come seme maledetto. In questa continua dialettica tra sacro e profano, purità impurità, maschio e femmina, sta il succo del libro; il maschio naturalmente è visto per lo più come purità poiché ogni impurità biblicamente assegnata alla donna; e si sottolinea l'eroismo dell'iter maschile dalla nascita alla morte, in quanto, impossibilitato ad accettare la prima chiamata al mondo (non richiesta), rifiuta la possibilità di rinascere una seconda volta nell'amore. Sono, queste, le radici del drammatico rapporto uomo-donna (due diverse culture che si sono sempre più divaricate) e Scarselli è riuscito a fare poesia da dramma generazionale, dal suo "ecce homo", mostrandosi in tutto il suo dolore, amore, odio, purità e impurità lo testimonia il suo sforzo prometeico il suo interminabile, ossessivo frugarsi umiliandosi alla poesia.

Abbiamo davanti il poema dell'Uomo, la sua Via Crucis, che denunci l'invivibilità del nostro essere uomin e donne, Nel mentre che il Poeta lo dice, si accusa e ci accusa, rinunciando a tutti i poteri intellettuali e mondani maschili meno che a quelle di respirare e scrivere versi che non servono per mangiare. La poesia di Veniero Scarselli è davvero un mirabile monumento funebre, come scrive Bárberi Squarotti; ma forse è la donna a piangere la perdita dell'uomo, del figlio che le scivola dal ginocchio al buio, mentre per lei l'amore permane, eguale alla vita, nei secoli.

Recensione
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