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Prefazione a
Viaggio e Terranova con neri cani d'acqua
di Rossano Onano

la Scheda del libro

Maria Grazia Lenisa

Cospicua ormai e sottolineata da consensi è la scrittura di Rossano Onano, maturata nella profonda scansione della psiche, superata la sua professionalità (è uno psichiatra!), anzi assimilata a tal punto alla sua poesia da divenire un motivo ispiratore come altri. E proprio il subliminale, soprattutto nei suoi ultimi libri, dinamicizza e trasforma il linguaggio (in un continuo elastico tendersi tra umanità e letterarietà), capace di ferire nelle ritrazioni dolorose, quasi ad impedire alla parola più oscura di liberarsi grezza e non coltamente patinata.

La certezza, ormai, di poter inventare si fa strada fra prosa e versificazione, superando lo scoglio iniziale de Gli umani accampamenti, per un approdo all'alterità che distanzia l'esperienza di vita. Del resto già la voce 'accampamenti' stabiliva una situazione di provvisorietà (“... e più sconnesse / inusitate mulattiere strenui percorriamo / alla ricerca degli umani accampamenti.” (n? 2), mentre l'invenzione veniva avvalorata da “un immanente / punto interrogativo sopra un bianco / foglio di carta trasparente.” Così “la poesia più rispondente / che sia possibile fare / sulla condizione esistenziale / dell'uomo...” (n? 44) è mossa dal rilievo dato alla trasparenza di quel foglio che esprime tutt'altro che la mimesi, piuttosto un capovolgimento della 'condizione' stessa. L'interrogativo, ad esempio, solo apparentemente comico: “Che sapore avrà la saliva di Dio?” (n? 42) a campeggiare sulla pagina, accentuandone il bianco, già, nel nominare un dato concreto dell'esistente, do distanzia all'inverosimile: sapore, saliva, quindi vita sono nell'ottica interrogante di uno spostamento, sbilanciate ed espropriate.

Il letterario si poneva esso medesimo come luogo provvisorio di sosta, nella ricerca di un modulo stilistico, capace di conglobare la felice e improvvisa sintesi e la pretesa psicodrammatica del dialogo che nella poesia più matura sarà innegabile acquisizione letteraria per assimilazione delle esperienze scientifiche e per distanza calibrata, ironica dalla condizione esistenziale. Sarà l'ironia, infine, un ventaglio di possibili risposte all'interrogativo di quel foglio bianco.

Per constatare il cammino percorso dal poeta, in chiave poematica, basti fare un confronto tra due pièces, la n? 21 (Al tavolo due posti di una finta stalla...”, prelevata da Gli umani accampamenti), dove i personaggi sono “la donna ossigenata” e “l'uomo brizzolato” a porre la problematica del rapporto di ordinaria cultura dei sessi, e il testo, già perfettamente calibrato (n? 4) da Inventario del motociclista in partenza per la Parigi-Dakar, dove i personaggi: Cavalcanti, Angiolieri, Becchina, conducono, in presenza del coro e della coscienza di Zeno, uno psicodramma abilmente camuffato di perfetta resa letteraria. Il miglioramento formale interessa più la poesia-racconto che i versi brevi, nati sapidi e originali: solo il lungo respiro può attestare il limite, ma l'ambizione di Rossano Onano – lo si può ormai dire – è una realizzazione.

Ipercriticamente, nel timore di essere indulgente con se stesso, l'Autore al n? 38 de Gli umani accampamenti scriveva: “La cosa che segue non è, come sembra, una mediocre esperienza letteraria, bensì un test proiettivo di un certo valore scientifico.” Con ciò non avvertiva, forse, la necessità, avvalorando la scientificità dell'esperienza, di un ulteriore affinamento letterario? Ma già Onano era molto vicino all'acquisizione del suo stile. L'elaborato, nella trinità prosa-poesia-scienza, miracolosamente, già allora, si presentava dosato e interessante.

Bisogna tener conto che solo nel 1985 l'A., nato nel '44, pubblica la sua poesia; parte da postazioni che, per forza, dovranno essere lasciate dietro le spalle, ma da un lato si tiene all'esperienza scientifica, dall'altro segue gli aneliti letterari, mai perdendo di vista l'umano di quegli 'accampamenti', ma sempre più scaltro da salvarli, appunto distanziandoli. Il passare dalle postazioni d'inizio alla vera e propria invenzione (vedi Rosmunda Elmichi, altri personaggi di Evo Medio), mai trascura né il confronto, interrogandosi, con le esperienze trascorse e neppure la congettura circa le future.

Intanto però il libro di esordio rivela subito l'impostazione di due moduli stilistici (che poi verranno perfezionati, connaturati in quello che si definisce uno stile (e lo stile è l'uomo!): il racconto ironico, minato, disteso in Dolci velenosissime spezie, ambiguo tra vissuto e sogno e la linea a sfondo ludico, nella misura breve, con sussulti parodici. Per quest'ultima l'uso della rima, tra lo spontaneo e l'artefatto, si rappresenta caricaturale, certamente indicativo di uno steccato praticabile, che si può oltrepassare in misure distese e non cantabili. Ne Gli umani accampamenti la misura breve risulta la più riuscita a ricondurre l'aura del discrimine tra discorsività e poesia, ad un'aria di ironia e di grazia.

L'INCOMBENZA INDIVIDUALE (1987) si pone come completamento, in chiave etica, de Gli umani accampamenti (1985), nel suo duplice significato: di compito che spetta a ciascuno su linee di relative certezze, ma insieme nell'ansia di quelle incertezze che incombono e sovrastano. Nello svolgersi di queste due linee sta l'impennata, per certi versi asociale, della poesia, intesa come solitudine e correttivo dell'ansia e di-versi-vo.

Rea Silvia Motti, prefatrice della raccolta, scrive infatti di solitudine della “poesia nuova” e, contemporaneamente, di una richiesta di resistenza contro “una sorte di morte culturalmente acquisita al punto che il dolore che ne nasce, rischia il non senso, disperante e assurdo, estraneo all'elegante, semplice armonia del vivere.”

Ma questa “elegante e semplice armonia del vivere” è l'aspetto, forse, più superficiale della vita, mentre l'altra è l'armonia alla quale accede il poeta: una questione di stile.

La poesia fa parte di una polifonia più difficile, meno evidente, tuttavia tale. Come negarla, ad esempio, nei Cantos Pisani? E' armonia di contrasti, di fughe, di equilibri non tanto nel contesto di un poema singolo quanto nel fluire della poematicità, quasi in fuga dal centro armonico. L'armonia esiste in Onano come gioco (doloroso) di contrari (natura-cultura; tradizione-rinnovamento). Vorrei anzi dire, dodecafonicamente, che supera il concetto di totalità, tradizionalmente inteso, libera da un centro di armonia. A conseguenza di ciò c'è una costante attenzione a ritrovare nella poesia, per assurdo all'apparenza, la purezza primigenia. E come non riconoscere in tale anelito il senso più misterioso ed affascinante dell'armonia?

Nella poematicità di Rossano Onano, così come si presenta nel suo excursus, non va negata l'importanza (terapeutica o pedagogica?) dei “novissimi” con il loro aspro stile nella ricerca di un ritorno al disordine: l'avventura formale lo conferma.

Umberto Eco, ad esempio, si chiede se l'arte contemporanea, rompendo e creando in continuazione modelli e schemi e riconoscendo come unico modello la deperibilità dei medesimi da opera ad opera, non possa rappresentare uno strumento pedagogico.

Onano, avvertito, non depriva il linguaggio dell'emozione come fatto globale (non come scaglie e brillii di parole in frantumi) e si caratterizza in una continua tensione tra avventura e ordine, ampiamente collaudata nelle vicende di letteratura italiana (si pensi al discorso barberisquarottiano!) e mondiale.

Il senso dell'Incombenza individualr è appunto qui: la rottura e la ricomposizione all'incombenza in chiave etica e poetica. L'ordine (o incombenza ad esso) perde così ogni dogmaticità e reazionarietà e l'avventura non degenera nel disordine, ma accede alla difficile, ardua armonia. Ed a proposito dello stile rea Silvia Motti scrive di “modi del parlato”, di “sincretismi del presente”, di “poetica delle macerie, nata nel cuore dell'umanesimo”, fermandosi, forse, al momento di decomposizione di questa scrittura.

Le occasioni esterne ed interne sono mischiate, re-impastate, cosicché il seme di realtà genera un'altra realtà di “angeli impallinati / a volo radente” (n?6). Viene deglutito un certo orfismo, suggerito da immagini campaniane, mentre acquista, a volte, peso un desiderio per nulla rarefatto, anzi l'anima si fa corpo con “movimenti inverecondi...

L'orfismo iniziale (si tratta del testo n?7, Adriatico, Luglio 83): “Come una donna bionda / che non si sente osservata / balla sola sul balcone...” è solo una trappola luminosa che adesca la “voglia di capelli biondi.

Già il respiro poematico di molti testi bene si organizza in scansioni, senz'altro coesive, sfuggendo alla prosa nella partitura di un racconto-poesia.

Onano ha ormai inventato, nei suoi momenti più incisivi, uno stile, un modo di poetare, articolato, complesso, di ampio respiro narrativo.

Il seme del presente s'incunea nel testo, già riassorbito e reimpastato in una lievitazione che deborda dal suo contenitore, addivenendo ad una norma – dopo la deformazione – o misura soltanto sua. Il poeta, quindi l'uomo, sta finalmente incontrando il suo stile: il presente è divenuto atemporale, l'occasione ben mascherata dietro l'esemplarità di figure retoriche sui generis (vedi: Giovanni della Croce, Santa Teresa in Inventario del motociclista in partenza per la Parigi-Dakar, 1990).

L'equilibrio tra le sequenze narranti e le misure brevi mi sembra senz'altro raggiunto pienamente in Dolci velenosissime spezie (1989), tantoché Giorgio Barberi Squarotti notava “un andamento lento e solenne nei versi brevi”. Ecco dunque il sintomo più evidente, di straordinaria acutezza, di una mistura e contaminazione dei due modi del poetare onaniano: quello breve (contaminato dall'andamento lento e solenne), quello poematico, ormai ricco di coesioni interne che moderano prosaiche dilatazioni o slabbramenti linguistici. Il verso lungo addiviene così ad una sua essenzialità e quello breve ha un respiro allusivo, dilatato in ampi orizzonti. Il breve avrà il senso dell'ampiezza; mentre l'andamento recitativo è tutto teso a custodire senza sfocature l'essenza poetica.

Domenico Cara, prefatore del libro, pone l'accento su un fatto di primaria importanza, che si allaccia alla mia intuizione dell'armonia: la “memoria dell'equilibrio è una delle costanti più massicce di questa scrittura poematica, resa per stanze “magiche”, per allegorie narranti...”

Il critico non ha scelto, per introdurre un poeta che seguirà nel tempo, almeno qui, l'adorabile genere della 'fantacritica', più che ispirarsene, lo aiuta a conoscersi e farsi conoscere dai lettori.

In Dolci velenosissime spezie possiamo ancor meglio scoprire le radici del poematico, legate al “flusso di coscienza” che incontra, sì, gli argini del razionalismo e della gerarchia sintattica, ma sa forzarli con una spinta alogica attraverso associazionismi di idee, piani temporali diversi, nella suggestione meravigliosa di Freud, di Proust, di Joyce. Emerge infatti la figura retorica del serpente, niente affatto casuale, che chiama in gioco il 'genere' o la scienza del profondo. Il poeta si riferisce al romanzo inglese di David Herbert Lawrence, il Serpente piumato, che significa la misteriosa ambiguità del numen, l'oscura presenza di quell'alterità che giace sotto la coscienza desta. L'identificazione col serpente rappresenterebbe per il poeta la perfezione, dopo essersi liberato dei falsi rapporti umani. Il problema della scrittura narrante (nel flusso coscienziale) si associa così all'anelito di libertà e a quell'ambizione della poesia moderna di essere anche 'prosa', comunque ponendo cautamente sul piatto della bilancia quel desiderio di canto, di musica, quella grazia all'erta per riempire la misura dei vasi celesti.

Domenico Cara assegna al poeta uno spazio barocco che lo fa sortire dai “luoghi imposti dalla poeticità comune”, inventando “sempre qualche immagine per la dissolvenza intellettuale...”

Eppure, qui, non mi pare che ci sia la funzione di sbalordire (qualità attribuibile al barocco che sostituisce così la verità poetica e l'incanto). L'aria barocca è semmai molto moderata e non raggiunge gli estremi di certi sonetti zanzottiani, squisitamente secentisti con l'ironia moderna di un'impotenza al far grande.

I registri linguistici (prosa-poesia) convivono felicemente in Onano, contaminandosi: quasi dimesso il raccontare, di matrice crepuscolare, sui generis, non come segno di debolezza o vittimismi, chiaro con se stesso; il poetico, tessuto di bellissime immagini, offerte per le ferite all'ironia giustiziera, quasi trattenute, per evitare la caduta di tono.

Il 'vario artificiale' di cui scrive Cara, non ha angolature false, si articola in un polimorfismo “senza estetismi e senza diaframmi di insipiente amenità”. Il rifiuto degli estetismi si collega al tono crepuscolare, quanto mai ambiguo però (come chi non voglia assolutamente cedere e ambisca a riprendersi tutti gli strumenti della letteratura dei quali può servirsi la poesia); l'insipienza rifiutata non esclude l'amenità, il ludus, mai operazione gratuita, ma liberatoria, mai gioco verbale o marinismo, piuttosto teso ad una bonifica dell'essere, non ostante tutto, ancora attraverso la gioia.

Al di là dei contenuti, il libro interessa per lo stile, la narrazione nella scia poetica, dove viene riscattato l'io oppure contiene o è contenuto nel noi (l'uomo-gli uomini), per capire, approfondire.

La storia poetica ha allora i suoi personaggi: la luna (Lei, la creatura d'amore, malata e offesa che si sottopone all'analisi; Lui che non può ormai eludere la paura segreta, i rischi nei sentieri dell'amore dova sembra difficile ogni abbandono, in quanto è ancora guerriglia. Il tempo si dipana in lampi all'indietro ed in intuizioni, come interpretazione soggettiva, memore della lezione proustiana.

I personaggi (io-tu) sono spesso contrapposti, mentre il noi li associa come umanità non come parti impossibili di un intero: vige tra loro il tono colloquiale; mentre la meditazione si unisce ad un registro aulico-letterario ed abbondano le varie tecniche espressive come metafore, sinestesie, etc...

Dal punto di vista metricologico riscontriamo soluzioni polimetriche, forse casuali o istintive, spesso il tipo di verso è lineare (del resto lo sappiamo non ostico neppure a Zanzotto che gioca, al contrario, col sonetto).

Il lessico umile pure ha gran parte nella poetica onaniana, si adegua a quella riserva crepuscolare da cui evade. L'impianto narrativo-meditativo, la sliricizzazione contrapposta a balze di perfetto lirismo, non lo escludono che in apparenza da un lirismo tutto nuovo e suo al quale è chiamato, mentre è costretto ad adattarsi all'ambiente, incalzato dalla religione del nulla che contrasta con la religione dell'uomo, della creatura che tenta di rimettere insieme i pezzi del mosaico scomposto. Il discorso esula dalle forme metriche con steccati ironici (di commento), quando incappa nella rima che scivola quasi e sguscia istintivamente, quando sembra più essere teso al processo di dissoluzione delle strutture metriche, ormai così ben dissolte nel quadro di una letteratura per tutti e di tutti, che potrebbero, forse, essere rivisitate e re-inventate con ictus diversi.

Lasciata da parte l'antinomia tra prosa e poesia in una sorta di prosimetra, segnata da differenze non da opposizioni, forse dà molto più fastidio l'opportunistica simbiosi di politica e poesia, dove feroci dovrebbero essere le antinomie, per non destituire la poesia a prodotto, per giunta raccomandato. (Dall'osmosi prosa-poesia all'intorno si svantaggiano entrambe: la prosa che rifiuta di essere poetica, la poesia che rifiuta di essere poesia).

Rossano Onano è accorto, non facendo la professione di letterato, vincolato nelle sue libertà, quindi dai risultati fin qui raggiunti (con perizia come accade a diversi che dalla medicina passano alla letteratura, considerando la poesia humus di tutte le arti e del fare umano) saprà liberamente giungere, sordo alle sirene dei premi preconfezionati, alle lusinghe dei critici inetti, ad una poesia 'entusiastica'.

Gio Ferri, critico della parola tra i più efficaci, doveva però notare subito per il discorso di Onano, il valore dell'ironia come “giusta misura tra sentimento e distacco” proprio per un'opera di raro valore quale mi è apparsa Inventario del motociclista in partenza per la Parigi-Dakar (1990).

Siamo arrivati al punto, preconizzato, in cui lo psicodramma acquista un vero e proprio spessore poetico e letterario e l'esempio saliente, come ho detto in apertura, resta la pièce dove recitano Guido Cavalcanti, Cecco Angiolieri, Becchina, il Coro e tutto lievitato da una finissima ironia, mai sarcasmo, sui fatti della vita e della letteratura.

Scopriamo un autore caustico ed affettuoso che ci riporta all'Angiolieri con una giocosità più fortemente perturbata dal reale, anti-idealisticamente ridotto, se non insorgesse, contrapposto, il bisogno di un ideale a far scaturire il contrario in chiave di protesta. La disperazione viene contemplata e dissolta, ma nei confronti dell'altro, del Recitante. In sostanza anche per l'Angiolieri la posizione antipetrarchesca (“Maledetta sie l'or' e il post' e 'l giorno...”), contraria al 'fino amor' nascondeva il bisogno di ideali, più esplicita senza meno in Rossano Onano che regala all'angelo (la Donna) “... il silenzio chiuso, il nostro inarrestato cuore nero.”(La sapienza di Salomone e altre fenomenologie).

Qui la sua poesia si oppone ad una poetica rarefatta, falsamente iniziatica, segnale luminoso da interporsi in chiave ludica, non spontanea ma artificiosa. Si serve della maniera antilirica, ma non diaristica e pare avere, in tempi diversi, lo stesso intento di un Cecco Angioleri come polemica anti-idealista, realizzata tramite l'ironia con un gusto proprio infrarealistico; come stato d'animo fortemente deluso dal destino, dagli affetti, ma in una malinconia affettuosa, rassegnata al dover continuamente deludere. A ben sondare i registri stilistici, essi esprimono questa tensione tra aneliti e frustrazioni. Ma la distonia tra le sfere del reale e del possibile viene superata; la poesia può porsi tra il sapere religioso e quello metafisico (tra salvezza e formazione). Si legga quel testo vivo per l'interesse che desta, dove lacanianamente interpreta l'estasi di Santa Teresa (da La sapienza di Salomone...). L'elaborazione mistica è la risposta all'atto sessuale mancato ed Onano fa serpeggiare un'ironia amara al retrogusto religioso (a proposito della “levitazione”), intesa nella petizione accesa dell'umanità di Cristo, come fuga proprio dalla umanità, per paura del proprio abisso di fuoco (“sospetta è Teresa ascensionale”).

Religione e mito,nel sapere poetico, vibrante di interrogazioni profonde, vengono fortemente scossi, e l'amore è assegnato alla caducità alla quale il poeta, in quella tensione di vita e di stile letterario, non sa rassegnarsi.

Questo nuovo libro pare sia stato scritto parallelamente a Dolci velenosissime spezie che dovrebbero rappresentare addirittura una scelta. Ma per quella fortuna che assegna al caso l'ordine più giusto, abbiamo davanti un'opera calibrata, agganciante, con la sapienza di due misure formali, assimilate quasi biologicamente fino a rendere più chiara la precisazione critica e gli agganci.

Rosmunda Elmichi, altri personaggi di Evo Medio (1991) risulta essere una tappa importantissima nello svolgimento poetico onaniano, soprattutto per il particolare gusto allegorico.

Con anticipo sui tempi, sia come critico,sia come ispirazione applicata al testo, Giorgio Bàrberi Squarotti insisteva sul connubio allegoria-poesia, quando ciò era guardato ancora con troppo sospetto (oggi invece se ne parla!), non ostante l'alto esempio dantesco. Ed ora viene riproposto il binomio allegoria-poesia e quale manto migliore per la poesia “una verità ascosa sotto bella menzogna?” (Ugo di san Vittore). E Dante non diceva forse che il senso allegorico è fondamentale non solo per il teologo, ma per il poeta? Il titolo del libro si rifà al medioevo che così intendeva la funzione della poesia, mentre il mondo moderno la rifiutava come tale (e qui entra in gioco Croce), parendo un attentato all'autonomia dell'immagine poetica, mentre veniva delegato il simbolo a evocare la poesia.

Onano ci dà la sua dimostrazione valida (e citiamo ancora Bàrberi con la sublime leggerezza dei suoi testi, ben imparentata con la più autentica poesia).

Vivo mi sembra oggi l'interesse per le tematiche medievali anche in chiave poetica; si veda la Giovanna d'Arco di Maria Luisa Spaziani, dove la leggenda viene rivisitata, in riferimento alla novità delle fonti. Ma Giovanna D'Arco, rispetto a Rosmunda, resta una figura più rigida, affidata al racconto delle novità esposte, mentre l'altra è inserita in un contesto allegorico e mutabile che è sostegno della poesia stessa.

Il potere che oggi ha forme democratiche, talvolta scopre un volto tirannico (raccomandazioni, mafie, appalti...); questo aspetto provoca più di uno sgomento ed induce a riflettere e a rimediare anche il passato, coma accade all'Autore, riconoscendo situazioni, momenti omologanti.

Non è possibile – credo – né poetico dare pretese di storicità critica al climax onaniano, semmai ciò che ne risulta, è la perennità dell'uomo e delle sue debolezze.

D'altra parte, a prescindere da qualsiasi ipotesi avanzata da studiosi di cultura medievale, ad avvalorare la nota premessa al libro. “Il Medioevo è il periodo storico caratterizzato da alcune istituzioni funzionali (beneficio, vassallaggio, immunità), trasmesse secondo una scala gerarchica rigida ma corruttibile, infatti difesa da robustissime mura: (resta inteso che alla base della piramide la maggior parte degli uomini, essendo sprovvisti di tali vantaggi, sono in compenso dispensati dal pensare, ed infatti incoraggiati a scrivere poesia). Come tale, la nascita di questa forma politica si fa risalire ai primi agglomerati umani; raggiunge la massima perfezione nei giorni presenti; non si vede ragionevolmente da quale altra organizzazione possa essere sostituita, per il futuro.”, come non riscontrare ironicamente, oggi, proprio una cultura del mercante che, nella sua stessa creatività, inserisce il calcolo. La poesia solo apparentemente ne è fuori, quando calcola, perché intorno ad essa fioriscono i più disparati interessi. Il poeta o scrittore, al vertice, è manager di se stesso ed operatore culturale di successo.

A introdurre Rosmunda... è Domenico Cara con acuta percezione artistica nei “Progetti arcani per l'irrisione.

L'Autore si dispone “al silenzio per ascoltre la storia contemporanea”, attraverso “la dimensione del poetico.” Le figure sono pretestuali e viene tracciata una specie di cartografia dell'altrove (per speculum in aenigmate).

“La consumazione riconduce quindi l'allegoria...”, intesa anche come un percorso di libertà; allo stesso modo Folco Portinari dà, ad esempio, Notizie dal Reami, infatti non sono fantasmi quelli delle sue “favolette”, né lo è B.C., il cattivo col cranio pelato e la mascella volitiva. Si tratta per questi Autori di una scelta per proporre un messaggio che deve filtrare dalle maglie del potere che è poi il “reame”.

La punta più alta del nuovo libro mi sembra sia rappresentata dal testo n?7: “Essendo caduta fortemente in sospetto la teoria...”, dove il presente si incastra tra passato e futuro ed il futuro ne è ravvicinato : “Un uomo toccò la cosa, le vibrisse / si aprirono e si vide, oh si vide!... l'uomo toccò ancora. La sventurata rispose.

Nell'ipotesi futura (“toccò la cosa, le vibrisse”) viene inserito addirittura il prelievo colto, in chiave parodica da La monaca di Monza ne I Promessi Sposi.

La parodia letteraria trae motivo ancora da versi del Petrarca (“Erano i capei d'oro”) sino alla conclusione esilarante: “Bisogna diffidare delle donne che hanno i capelli biondi e i peli più intimi neri.” Certo l'infiltrazione gozzaniana dell'ironia si fa corposa, ricca di malizia.

L'apparato rituale e gerarchico medievale nasconde altri pezzi del gioco al massacro: il maestro di cerimonia, i cavalieri, la ballerina, sono figure di un mondo che è sempre lo stesso, di una gerarchia che muta nome, ma non la sostanza. All'uomo non gerarchizzato, non ben inchiodato alla convenienza del ruolo (che non è – si badi – l'incombenza individuale che sottende l'eticità!) non resta altro che la poesia con la sua allegoria feroce, un attentato appunto a quel Reame, ridicolizzandolo.

Al testo n° 16 una bella ouverture commemora l'età dell'oro, le dovizie dei frutti e quella bellezza primigenia, armoniosa, divenuta rimbaldianemente amara e con Zanzotto degenerata in Beltà con quel tanto di gusto che la mina. Con Rossano Onano essa acquista un significato 'tremendo', incombente, ha “il volto di verità, di poesia...”, con animo nostalgico di una poesia che non è più ingenua o sentimentale, ma intellettuale, tesa per filtri alla riscoperta dell'originario.

Il testo, nel commemorare le cose antiche, pare sia stato scritto dopo che l'umanità è stata totalmente cambiata, perfino nel modo di generare, tantoché la maternità di Penelope è “secondo una versione dimenticata”, quale già al presente sembrerebbe profilarsi.

La pagina che porta il n?9, presenta un testo che fa di Rosmunda un'eroina moderna: “Non avrai mai / il mio cuore, bensì solamente il corpo”. Nella negazione iniziale il dubbio si appropria di una certezza originaria che lo trascende e rende evidente la indubitabile necessità di una sintonia tra sentimento e dono del corpo, che però, nella pièce rompe in ironia verso il mondo maschile.

Prendendo questa situazione in versi come esemplare, vediamo che il tempo in cui è accaduta la storia, ritorna a farsi attuale, nuovo, proponendo allegoricamente altre situazioni. L'incrinatura ironica poi suppone un discorso tra i sessi quasi inconciliabile. Anche al n? 10, già citato, “...i cavalieri / accarezzano la testa delle ballerine ( sono / uomini d'azione, pratici di religione e di spada” irride i ruoli non le “incombenze individuali”. Fuori testo, perfettamente alluso, il commento sapido, l'allusione alla commedia della vita (n° 12: “una nuora / giovane, intenzionale attraverso i vetri smerigliati nuovi.” è tutta nell'implicito, in un nudo, qui, non detto, ma che si vede. Commedia con risvolti tragici che presenta lati di comicità, più che altro piccole grandi convenienze: “la posizione di vantaggio / per il futuro” (n°11).

Ogni libro di Rossano Onano è anche la storia di un viaggio che appare senza “meta finita” (n? 41) e il ciclo della sua esperienza poetica, per ora, si chiude con un'opera che ne sottolinea il senso: Viaggio a Terranova con neri cani d'acqua. La simbologia del titolo media tra una meta che sembra definita (Terranova), ma riguarda invece una terra nuova che sta per “non terra”, ma luogo diverso e altro.

Viene sottolineato il pericolo del viaggio verso luoghi senza conforto come lo erano Gli umani accampamenti, dove il calore e l'umanità che dovrebbe essere qui simboleggiata dai “neri cani d'acqua” (salvatori) sono invece freddo e desolazione. Ma bisogna arrivare fin dove è possibile e Terranova è una lingua sconnessa e difficile da esplorare e sottomettere.

Il viaggio si avvia verso altri luoghi per altri endici e c'è il timore di perdere la poesia, di travisare la verità per finti appigli al mondo scritto. E che Terranova sia quel linguaggio di cui anche Zanzotto scrive in Idioma (“Lingue tra i cui baratri invano / si crede di passare...” e ancora “io-lingua, ridotto a seduzione!”), non è difficile intuirlo. E' il mondo della parola che viene conosciuto, sondato nelle sue possibilità, se scrive: “La esplosiva fessura delle rime, la resa / mimata...

Il linguaggio è anche capace di affestellarsi intorno alla nuda necessità della poesia che fa il suo spogliarello, per restare scheletro e “li uomini battone le mani, come / liberati ridono...” e, alla fine, “sarà il tempo a dire, espletate le onerose operazioni in corso.” (n° 3). All'allegoria della poesia segue quella della guerra che allude alla questione del golfo con tutti i suoi riti (maschere, tute mimetiche, balli, il vescovo che benedice (testo n° 4).

il contrasto uomo-donna, sempre palese in tutta la poesia di questo autore, viene alla fine superato 'Altrove' in una sorta di matriarcato sublimemente feroce.

Questo viaggio appare come un'odissea, dove il poeta, alla maniera di Ulisse, tocca posti metaforici e dantescamente penetra nell'oltre la vita, in una sorte di purgatorio, dove si attende “una qualsiasi resurrezione della carne”, entrando intanto “nel sogno dei vivi” (Testo 8).

L'itinerario ha pause di racconti come la storia del 1831, dove si narra di un distaccamento della legione straniera che “venne messo fuori combattimento da una forma dolorosissima di priapismo”. Sono cronache antiche o altre volte scene di arazzi: ninfe e fauni, forse a irridere una forma di poesia arcadica. L'intervento dei fauni però è fallimentare, incrina la parodiata classicità, in quanto è visto in fuga, per timore di prestazioni erotiche supplementari. Situazione capovolta nel mito, perché pare rovesciata nella vita, impostando altre problematiche fra uomo e donna.

Il viaggio, a differenza dell'Odissea, non prevede un ritorno; Itaca, meta definita, è scomparsa, a meno che non diventi simbolo della più acuta conoscenza che solo la morte può indurre, se tutto non finisce lì. Anche l'isola dell'amore, nell'ultima sezione inedita, dell'antologia, sembra abbandonata; il tema è il viaggio, divenuto fine a se stesso, con qualche vaga nostalgia di quegli umani accampamenti, dove un residuo fuoco poteva scaldare e la parola colpire precisamente il suo oggetto. Il rapporto di esso col segno linguistico è scosso, ma non destituito, semmai il segno è fortemente caricato di suggestioni, al punto da riformare, deformandolo, l'oggetto. Il segno è pure delegato a produrre altri oggetti dalla sua indicazione, fuori dal rischio di una proliferazione vuota e abnorme, per altro paventata al punto di suggerire all'Autore una sosta come a chiusura di un ciclo poetico. Ma “non c'è motivo che il linguaggio debba corrispondere o assomigliare al mondo più che non vi sia motivo che debba assomigliare al mondo il telescopio con cui lo scienziato lo studia” (Max Bolack).

Il linguaggio ultrametafisicamente acquista un significato apofantico, in questo senso è la casa dell'essere. Onano non ha funzionalismi linguistici da esibire, ma opera una seria modificazione del linguaggio a partire dall'esperimento zanzottiano di vasti possibilismi linguistici, ma anche di incombenti terrori e seduzioni.

Dove ci porterà questo viaggio? Quali saranno le ulteriori proposte di una poesia, già spintasi tanto avanti verso “Terranova”?

Il mio discorso critico finisce qui nel presentare un'era della poesia onaniana, breve per spazio d'anni, ma intensa e non valutabile temporalmente.

Scrivere è desiderio ed è il seme della vita che fa fiorire altrove infinite, possibili vite che il linguaggio dell'Altro rischiosamente anima. La poesia allora non è involucro ma brage (anche gelo che scotta!). Solo allora l'eco è più sconvolgente della voce che chiama; qui, ora, per il suo invadere altri spazi, provocando in chi ode timore, in chi chiama sorpresa, perché la voce continuerà nel silenzio della bocca che l'ha pronunciata.

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