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Epicedio sulla morte dell'Eros
Non credo che neppure chi fosse indulgente al femminismo, si sentirebbe dì ridicolizzare «gli archetipi dell'immaginario erotico maschile» (vedi risvolto del libro!), piuttosto considerare con pena l'approdo, un approdo di vuoto, di dolore, di amore al negativo. Se l ironia poi non è posseduta dal poeta che qui si dibatte quasi secondo la legge dantesca del contrappasso, come farne? Sarebbe un ridere ai funerali. Ripeto che la questione è se il tentativo, alto per la verità nel suo assunto sia davvero riuscito. Si può certamente fare un tipo di lettura allegorica come per l'Histoire d'O (ma in Scarselli o nell'uomo-cavia non c'è l'abbandono e provvisoria felicità della depersonalizzazione, dello svuotamento di sé). Il corpo della Femmina divoratrice allora rappresenterebbe il sociale, il potere fagocitante ambito e poi fuggito, l'essere padroni e poi servitori di esso, pur nelle indulgenze al visivo, al torbido, al laido, legate alla struttura mentis di Scarselli, vicino professionalmente al disgregarsi e decomporsi della materia. L'uomo allora fugge dalla donna che lo aveva ingannato con la sua bellezza esteriore e dalla società che lo aveva sedotto con i suoi miraggi, per sentirsi libero e la storia di questa libertà diviene psicodramma nei suoi lavori poetici; per esempio in Pavana per una madre defunta, il paesaggio del ventre materno, visto impietosamente, non è altro che fucina di morte. Baldacci che presenta il nuovo libro, scrive che Scarselli non ha ricevuto nemmeno mezzo premio (nonostante ne citi qualcuno!), ciò «perché non ha sottoscritto l'identificazione tra letteratura e mondo letterario». Allora perché cercare premi se la corsa, più o meno consapevol mente, sarebbe al "successo" dal quale Scarselli è fuggito? Il successo lo porterebbe verso le cose aborrite, salvo a recuperarne qualcuna, nella sua condizione dì eremita, come la luce, il telefono... Dico questo, perché l'illustre biologo (la qualifica professionale è citata, per poi accentuare l'abbandono di una condizione di potere) prima aveva attraversato ogni sorta di disagi di vita primitiva (e autopunitiva), per distaccarsi da quella civiltà che gli aveva parato davanti e dentro tanti mostri dei quali la femmina, in sé, è il meno tremendo. Baldacci aggiunge che questo poeta «avrebbe la forza di cambiare le regole del gioco»; ma ricadrebbe tout court nel meccanismo del successo, del consumo, perché, nonostante il suo finto primitivismo, prodotto da una civiltà tecnicizzata che lo ha deluso, egli appartiene alla civiltà dell'"usa e getta".' Tocca così così saper scegliere, senza rimpianti tra il successo dell'opera e il successo nell'opera. Le regole del gioco cambiano, quando non si può giocare e gioca soltanto e meravigliosamente l'opera. Il conforto, per ora, è la considerazione oraziana: «Pallida mors aequo pulsat pede pauperum tabernas regunque turres» (Orazio, Odi, 1, 4, 13-14). E l'innocente «signora di buona volontà», chiamata nel risvolto alla lettura di Scarselli, cosa mai potrà aggiungere? Invito piuttosto l'uomo nuovo, se esiste, a dare utili consigli (dopo "un'utile lettura"), per disseppellìrc l'amore. |
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