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Prefazione a
Nisciuna voce / Nessuna voce
Mario Mastrangelo
la Scheda
del libro

Franco Loi
La poesia è
musica di parole, sequenza sonora che freme d'emozioni, di pensieri, di
sensazioni. Solo un poeta può invocare il silenzio, giacché è appunto dal
silenzio che emerge la parola che dà voce a tutto ciò che l'uomo rivive in
coscienza e fuori dalla coscienza. E Mario Mastrangelo può persino mettere
in discussione il proprio dire, o almeno il suo amore per una fonte eterna
della parola: "Ma poi a che serve il dire? Se potesse / essere tutto di
silenzio questo vivere, / e spogliata di parole fosse questa / bugia che
tutti chiamano realtà". Eppure il poeta — lui ch'è portato inesorabilmente
al dire — sa che non tutti gli uomini sanno ascoltare il silenzio e, spesso,
più che parlare ciarlano o deformano la parola, e anche per questo occorre
dire, soffiare la musica dell'esperienza. Tanto più che Mario pertiene a
una terra di cantori e a una lingua che ha un'antica tradizione poetica o,
come dice in altri versi, conosce "la bellezza nascosta / dentro il
miracolo antico del dire".
Non può mancare
in questo libro il riferimento alla fonte della bellezza, quel Dio che
ritroviamo nel mistero di ogni cosa — e non si tratta naturalmente di un dio
teologico, ma del riferimento necessario al mistero della vita che il poeta ritrova
in tutti i suoi sensibili rapporti con le cose e le persone: "Le mani di Dio son
calde di creazione / vi son rimaste ancora sulle dita / molliche di luce,
schegge di terra e cielo". Del resto, come ha scritto Benedetto Croce: "Nel
filosofo accade il medesimo che nel poeta: non è lui che pensa ma è la cosa che
pensa se stessa in lui". Ed è appunto per amore di conoscenza che di fronte a
un albero, una donna, un altro uomo, l'orizzonte di un monte o di un mare — come
in Leopardi — di fronte alla bellezza o al dolore e all'orrore della violenza o
alla gioia di un sogno, il filosofo sente insorgere in lui un pensiero nuovo e il poeta ascolta la musica della propria esperienza.
"Come un corpo di
donna nell'estate, / il mondo splende e ci promette gioia" — "Il cielo sopra noi
sta preparando / un momento assai raro". Non che Mastrangelo sia attratto
soltanto dalla gioia: "Se ci si pensa, la vita — e non conosco / di questi fatti
quale — idea tu hai — / pare una cosa assurda e dolorosa, / ma è un'esperienza
che ne vale la pena". Si sente in questi versi salernitani una tensione
tradotta, non solo in parole, ma anche in ritmi e sonorità che danno, come in
ogni vera poesia, varie sfumature simboliche ai significati emergenti.
Quando il poeta
dice: "Tutto è vita e tutto è della vita, / ogni cosa di quelle carni è parte /
e nelle braccia ch'essa allarga arriva",.non fa una dichiarazione ideologica,
ma riconferma una tradizione che vuole espressa in modo corporeo anche la più
sottile delle speranze o delle intuizioni religiose. Si veda quella poesia, "I
folletti d'acqua": "Piove fitto, le vie scure di piombo / come le coperte livide
del cielo. / Chi sa chi mette tanta forza in corpo / alle gocce arrabbiate / che
battono l'asfalto duro e saltano / prima di scorrere, di cadere / di coprire le
altre. // Ma proprio nell'istante che rimbalzano / — forse e una voglia assurda
di tornare / in cielo che dal basso le solleva — / fanno nascere una schiera di
folletti / d'acqua che, per un tempo breve, / per un momento solo / bugiardo e
misterioso prende vita" oppure quella bella e importante sequenza di versi che
recita: "Sciolto ogni dubbio, ora ne sei sicuro: / c'è un'altra realtà /
mischiata a quella tua, / non si sa se boccone / dei sogni costruiti ad occhi
bui / o brandello del mondo / delle cose immaginate, con la testa / che si
sazia soltanto con l'assurdo" con quel finale così umano e così vero, ricolmo
di speranza: "Già questo ti sconcerta, / un'altra realta che certo / da retta
ad altre leggi / e forse porta in grembo altri tormenti, / ma la paura ti morde
e poi corre / per tutti i labirinti del cervello, / quando capisci che tu, sì,
stai qua, / però appartieni anima e corpo a quella".
Chi non vive una doppia realtà, pur
nella certezza del corpo e la cecità assoluta d'ogni altra realtà, su questa
terra? Come scrive Dante, parafrasando Paolo: "Fede e sostanza di
cose sperate / e argomento delle non parventi". Certo non ci appartiene
l'assurdo mondo delle ambizioni sfrenate, della vuota invidia, del far denaro,
dell'assassinare per ogni tipo d'ideologia — la patria o il socialismo o le
chiese delle colpe sempre demandate ad altri, dei giochi dell'alta finanza che
non ha volto, dei falsi intellettuali, delle schiume dei partiti, dei voraci di
sesso senza amore, dei collezionisti del potere, dei ladri di anime: "Si
posano, non se le porta il vento caparbio, le nostre vite si posano". Dove la
parola "posare" comporta sia la delicatezza nel vivere ogni tipo di rapporto —
con gli uomini e con la natura — sia la modestia nel considerare se stessi e la
propria coscienza, sia la fede in un significato profondo di tutto ciò che ci
circonda.
Molto indicativa è
quest'ultima poesia, che a tutti noi sembra prospettare un modo di essere: "E
per ripararci dall'alluvione / del nulla che veniva fitto addosso / e, più
scorreva il tempo, più aumentava / e con una rabbia in corpo / ci prometteva il buio del non essere, / la sventura più grave, / con un'acqua che pioveva
pesante / mentre le unghie delle ventate / ne facevano tanti mulinelli, / mani
pietose — da dove arrivate? — dell'esistenza ci hanno aperto l'ombrello".
Perché dico un modo di essere? Perché, specialmente in questi tempi di
presunzione pseudo-scientista, di decadenza dei costumi, di disattenzione ad
ogni legge della natura — che tutti animali almeno rispettano nelle loro
semplici necessità — e nel decadere di ogni ideologia e teologia, perché,
dicevo, sopravviva almeno I'intuito di un'immagine più profonda di noi e del
nostro stare nel mondo, il senso dell'incertezza delle nostre conoscenze — dice
lo scienziato Planck: "Più conosco e più mi ritrovo davanti al mistero" e disse
Socrate prima di affrontare la cicuta: "Cercar d'ottenere virtù e prudenza
d'intellettuale luce". Un'indicazione che va perseguita anche se, come scrive
Mastrangelo, "s'è fatto amaro il tempo e a portare addosso / il carbone pesante
delle giornate / si sente adesso tutta la fatica". Giacché non possiamo
dimenticare tutti gli uomini che prima di noi hanno sopportato questa fatica,
e spesso l'hanno fatto per amore di tutti noi e, a volte, per dare agli uomini
la forza di un destino meno schiavo delle tenebre.
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