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Il reale e il possibile
“La mia poesia
| non gioca con le farfalle | inseguendone il volo |…si
scioglie nella magia | della parola libera | incondizionata| ed è franca | come
me”. Può fungere da biglietto da visita questo verso della recente silloge
di Giovanni Di Lena dal titolo esplicativo Il reale e il possibile nella quale, con lealtà e lontano da orpelli linguistici, l’autore
lucano si ripropone, come scrive nella sua lucida prefazione Raffaele Pinto,
senza “artificiosità retorica”. “Non c’è epifania di virtuosismo concettuale o
metrico – aggiunge Pinto – non c’è ostentazione di superiorità sentimentale ed
intellettuale”. Sarà dunque una battaglia singola quella intrapresa da oltre
vent’anni dall’autore, che cerca un rimedio (o un input ideale) nella poesia
civile a soluzioni politiche non sempre felici e rispondenti alle esigenze di un
progresso sociale tanto auspicato.
Un grido di dolore talvolta intriso di un
pessimismo arcaico è dunque quello che si respira nei versi del Di Lena,
intellettuale militante di Marconia (contigua alla Val Basento), e portavoce di
un profondo disagio personale che tocca i temi del lavoro, della socialità e
della politica. Ma diventato suo malgrado (si legge in biografia) cantore di una
generazione di cinquantenni lucani che, troppo piccoli per fare il Sessantotto e
ancora sui banchi di scuola durante il rutilante ’77, sono stati poi presi dal
vortice del lavoro e dell’impegno sociale negli anni Ottanta, vivendo in
successione stati di sempre più marcata delusione”. Il reale e il possibile
diventa in tal modo una sorta di proclama sociale sussurrato nell’intimo, fra il
sé e l’anima; mentre l’intero testo sembra un unico manifesto che ci coinvolge a
mo’ di struttura discorsiva. La raccolta si suddivide in “Terra” e “Aria”, due
elementi dell’antica visione di un Sud che vive di perenni coltivazioni agresti
e traspira aria pura.
Ma da qualche decennio questa terra è anche terra di
estrazioni (petrolifere) e quell’aria salubre non emana più quell’arcaica
freschezza. In “Verso un dove oscuro” Di Lena ci dice che “…scontiamo la
condanna di un’idealità sbagliata | perseguita a sproposito | da irriducibili
pifferai”. Molto al limite della riflessione si può rintracciare quella
pessimismo che i critici di cinema avranno riscontrato nel pregiatissimo film
del 2007 dal titolo “Il petroliere” dell’americano Paul T. Anderson (Oscar al
protagonista Daniel Day-Lewis). Eppure filtra fra le righe quell’aspirazione
all’amore, come principio e come fine, “il bisogno di riscoprire potenzialità
nascoste in sé e negli altri”. E l’incitamento a “scommettere
| ancora | su
un’idea nuova | e non peccare di silenzio | in questa indifferenza collettiva”.
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