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Giacomo Puccini, Torre del Lago e la fine della civiltà europea
Secondo il
senso comune letterario, i tratti caratteristici dell’elegia sono la malinconia,
una mestizia diffusa, un velo di tristezza per la vita che trascorre, la
giovinezza che fugge, la bellezza che sfiorisce: stati d’animo sempre
rielaborati in maniera lirica nei modi di un’afflizione contenuta ma capace di
scavare dolorosamente e in profondità… Queste le peculiarità di Elegia
provinciale, il bel romanzo dello scrittore viareggino Giancarlo Micheli,
che proprio in un ambiente ristretto e periferico, la Torre del Lago di un
secolo fa, sceglie di concentrare i nodi drammatici della sua narrazione.
Personaggi principali, il Maestro, inteso come Giacomo Puccini; sua moglie
Elvira; Doria Manfredi, una ragazza del posto, di umili origini, da cinque anni
a servizio dai Puccini, residenti sulle sponde del lago di Massaciuccoli dal
1891. Le cronache del tempo e la memoria collettiva raccontano che Doria,
ingiustamente accusata e perseguitata da donna Elvira, folle di gelosia, si
uccise avvelenandosi; ne seguì una penosa vicenda giudiziaria che portò Puccini
e la moglie alle soglie della separazione. Infine prevalse il legame profondo
che li univa. Un rapporto tenace il loro, ma, dicono i biografi, morboso e
intessuto di violenza psicologica e tradimenti. E’ su questo scenario tormentato
che il Maestro compose La fanciulla del West, rappresentata a New York il
10 dicembre del 1910.
Micheli ripercorre questa storia
intridendo le sue pagine di un diffuso, amaro, disincanto: per l’assoluta
mancanza di senso dell’intera vicenda (l’esame autoptico del corpo della povera
Dorina ne rivelerà l’illibatezza); per l’insignificanza umana di tutti i
personaggi coinvolti, tutti, a parte la povera vittima, ugualmente colpevoli,
siano umili o potenti. Il grande musicista, adorato dalla critica e dal pubblico
è un vanesio, privo di qualsiasi sensibilità civile, un solipsista che si avvita
compiaciuto attorno alla propria arte e in essa consuma la propria umanità;
donna Elvira, gelosa e dispotica, è la degna consorte di un artista tanto grande
quanto umanamente inadeguato. Fosca, la figlia di primo letto di Elvira, il vero
motore della storia, sensuale e calcolatrice, conserva tutte le astuzie
dell’origine plebea e l’arroganza di una condizione sociale privilegiata. Don
Giuseppe, prete di Torre del Lago all’epoca dei fatti, è un personaggio
sensibile e tormentato ma sostanzialmente imbelle, vittima del perbenismo e
dell’ideologia religiosa; il dottor Giacchi, illuminato e raziocinante in un
tempo e in un luogo che sembrano rifiutare i lumi della ragione e della scienza;
Tonio, figlio di Giacomo ed Elvira, debole e incerto…
Ora voi provate a dilatare a uno
scenario più vasto, europeo, quel piccolo mondo torrelaghese, provinciale anzi
paesano, egoista e incarognito; applicate su scala più vasta la dinamica del
disamore che sovrintende ai comportamenti degli uomini e delle donne di quel
‘mondo minimo’ e avrete la spiegazione della allora incombente finis Europae.
Siamo infatti alla vigilia di quella guerra terribile, destinata a spazzare via
una civiltà che aveva prodotto straordinarie realizzazioni economiche, civili,
scientifiche, artistiche… Questo ci racconta Giancarlo Micheli: il tramonto di
una civiltà sotto la specie di una modesta storia paesana. E lo fa con una
lingua composita e impegnativa, capace di passare dal vernacolo viareggino a
inserti colti in inglese, francese, tedesco, latino. A significare la valenza
assai più larga della sua storia e ad affermare che, se la vicenda narrata è
mediocre, ovvia, banale, la sua interpretazione non è affatto semplice, che la
contestualizzazione e la lettura impongono sempre profondità e complessità.
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Recensione |
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