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Romanzo
per la mano sinistra
Il compito di Virgilio
Il romanzo di Micheli non è di facile catalogazione. Certo, a prima vista,
potrebbe essere ascritto al genere del romanzo storico di stretta osservanza
manzoniana, visto che l’acribia dell’autore nel rapportarsi ai documenti
storici, alle fonti ideologiche dei movimenti che caratterizzano il periodo da
lui preso in carattere, è quella di chi privilegia la storia rispetto
all’invenzione. E, poi, i caratteri del genere che ho richiamato ci sono tutti,
in primo luogo l’interazione dialogica tra i personaggi inventati dalla fantasia
dell’autore e quelli esistiti, che sono poi gli artefici del destino di milioni
di uomini.
Inoltre, come scrive Giulio Ferroni nella sua nota critica in quarta
di copertina, il romanzo attraversa una «fase del Novecento, dalla seconda
guerra mondiale alle lotte degli anni Settanta, con un ritmo epico, che
sovrappone fiction e vicende reali». Ma la mia impressione è che questa grande
storia, questo affresco di un secolo che è brevissimo e lunghissimo,
attraversato com’è da bagliori fulminei, incendi di passione per il nuovo, e da
incubazioni nella mortificante e spregevole criminalità di regimi che annientano
lo spirito e l’intelligenza dell’uomo, contenga anche molto di più.
Intanto, la
ricostruzione raffinata e documentata della cultura ebraica, vista nelle sue
molteplici ramificazioni, dalla mitteleuropa al meridione d’Italia, poi, la
sofisticata rappresentazione di tutte le reti esoteriche, le distorsioni
culturali, le febbricitanti e psicotiche immersioni in forme complesse di
pensiero pregiudiziale che si sono andate affermando nel mondo delle
contaminazioni che ha caratterizzato il nazismo, tengono lontano il lettore da
ogni velleità semplificativa, da ogni tentazione schematica. Insomma, di là
dalla forma romanzo, il testo di Micheli è una storia a molte entrate e a una
sola uscita.
Lo scrittore non rinuncia mai al suo compito didattico, rinunciando
a essere l’Arianna del lettore e preferendo assumersi il compito di Virgilio in
questo viaggio attraverso le dimensioni infernali e purgatoriali del nostro
esistere. Un altro aspetto che mi preme sottolineare è il mezzo attraverso il
quale la storia si sviluppa, vale a dire la lingua. Lontano da ogni
compiacimento espressivo, da ogni ricerca dello stupefacente, nella complessa
(non complicata) scelta lessicale di Micheli, si può cogliere la volontà, dopo
la
confusio linguarum
di questi anni di triste degrado e di approssimazione fonosimbolica, di
reinventare, per dirla con Eco, una lingua capace di esprimere la natura delle
cose attraverso una specie di innata omologia tra fatti e parole.
Se la
letteratura fa bene alla ricchezza dei vocaboli, è anche vero che riprendere
termini caduti in disuso ma luminosi, recuperare le diverse modalità di
espressione, attraverso le quali la cultura ha potuto crescere in complessità e
in intelligenza comunicativa, produce effetti rivoluzionari nell’arte e in
quella vita che l’arte non riesce a mistificare. Storia, ideologia, verità della
vita, personalità e umili esistenze, passioni e speranze, assieme al magistero
della filologia, convivono in questo unicum che può essere considerato davvero
un potente antidoto contro il veleno della sciatteria e della mortificazione del
lettore.
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Recensione |
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