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Esorcismo ereticoPoesia che si legge con il cuore in tumulto, per l'intensità di sentimenti e impressioni che trasmette. Il Dolore permea ogni verso di questa raccolta, si stende sulla pagina senza pudore, senza rancore, con l'onnipresente coscienza dell'impotenza dell'uomo di fronte a un'esistenza percepita come dramma. Senz'alfabeto, la precedente raccolta di poesie di Anna Maria Guidi, aveva già ben messo in evidenza la potenza di questa ricerca espressiva, dove, attorno al doloroso mistero della realtà, ombre che si alternano a sfumate luci e ci si arrende alla forza rigeneratrice della vita, lasciando spazio a una struggente speranza.
Una poesia-eresia scaturita dal duro, quotidiano calvario dell'Autrice, dove ombre, passi incerti, cadute, rimostranze accorate, veleni, fragilità, graffi atroci nel corpo e nell'anima, non riescono tuttavia a fiaccare uno spirito vitale che, come un fremito, accompagna il dolore, si fa strada nel buio e a questo si sovrappone. Le poesie sono sinteticamente ordinate in nove sezioni, il cui significativo titolo ne sottolinea e ne cadenza il percorso: Buio di sole; Le cadute; Recinto di passi; Il nido s-radicato; Il pianeta avvespato; Naturalia; La recherche (du Dieu perdu); Resa all'insoluto; Sto. Sono titoli in cui risalta anche l'uso di questa parala, già in passato evidenziato in numerose occasioni da poeti e critici di indubbia maestria, tra cui Franco Manescalchi, autore di una commossa introduzione al libro, e il compianto Giuseppe Panella che, su questa scrittura, si è espresso con fini e ampi giudizi. Voci tese a rimarcare quanto la poesia della Guidi, così ricca di innesti lessicali e forti cariche semantiche, rappresenti un raffinato linguaggio di soglia, un'originale e personale ricerca, nel rispetto degli autori che prima di lei sull'uso della parola hanno profondamente lavorato. Una peculiarità che inevitabilmente caratterizza anche tutti i versi di questa raccolta, dando origine a felici neologismi e giochi di parola capaci di offrire più risonanza alle sensazioni percepibili nella lettura: «sbalugina certezza di luce» (p. 21); «il dono del pane cotidiano: / appena un giumello / al nostro sop-portare (p. 59)»; «:il seme acerbo d'una attrazione / che irrinunciabile mi spaura / eppur cattura. / E perdura» (p. 72). Dall'anima piagata e piegata alla volontà dell' "enigma insoluto", non salgono rabbia e autocompassione, ma, in attesa di "un'elemosina di misericordia", senza essere consapevole di essere tale (anzi certa di essere un'eresia), si leva una sommessa e autentica preghiera nell'accorata ricerca di Dio: «Dove sei Dio? / Dio non mio. [...] Dio non mio / nel nido / del nondove / in quel dappertutto che sempre ci nega / la chiave» (p. 58). L'incognita che buca la pelle si insinua nel buio del dubbio - innominata entità - e la paura abbraccia il desiderio, si teme e si agogna insieme «l'approdo a quel porto / di sole che s-confina / nell'infinitudine» (p. 23). Se da una parte il buio offusca sensi e visioni, dall'altra esiste la consapevolezza che ogni giorno si risveglia "illeso il sole". Il dolore aspro e duro che ha dettato questi versi si scioglie in una dolcezza che è impossibile non cogliere leggendo tutta la raccolta. Tra visioni reali e oniriche la disperazione scivola verso un irriducibile desiderio di speranza, l'ombra cupa si tinge di lampi di luce:«E ancora cavalco le ore / come puledra che non si doma / con la frusta del desiderio / e che senza sperare / eppure ancor desidera» (p. 69). Come già accennato, ho letto questa poesia con il cuore in tumulto e, aggiungo, col fiato sospeso, arresa a un' indefinibile e segreta dolcezza, con la sensazione di avere affiancato l'Autrice in questo percorso di vita, alla cui misteriosa meta nessuno sfugge, ma che pochi, come lei, sanno guardare con gli occhi purissimi della poesia. |
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