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Un poeta tra pienezza dell’essere e libertà morale
Lucio Zinna, scacco matto al compromesso delle ideologie
La scorsa estate s’era sentito un po’
di rumore, giusto un po’, intorno alla mappa e alla geografia della recente
poesia italiana. Un antologista, ricordo aveva con grosse forbici tagliato spazi
e interi territori soprattutto per escludere (in malafede o forse per
ignoranza); i difensori degli esclusi, cugini scrittori, insorgevano a
rivendicare e riannettere. Da Roma in giù ci sarebbe stato deserto e silenzio. I
ciechi e i sordi possono smentire. Sono i poeti, non i salti d’umore, a scrivere
la storia della poesia nei secoli.
Tra i poeti d’anagrafe appunto
meridionale, nato e attivo in Sicilia, nella parte civilmente sana di Palermo, è
da annoverare Lucio Zinna, cinquantenne, autore altresì di volumi in prosa, con
una mano nei programmi culturali della Rai, redattore della rivista «Arenaria».
Ve n’è quanto basta ad accreditarlo sul piano delle cose e delle fatiche che
contano.
Ora di Zinna esce la raccolta Bonsai,
sua quarta, graficamente esemplare, fregiata di dedica che fuori retorica
richiama Teresa di Lisieux. A ulteriormente connotare l’entroterra, è un dato
della formazione, rincontro con l’opera di Jacques Maritain che gli fornì
materia per la tesi di laurea in filosofia. Sono punti fermi, luoghi della
cultura che il tempo non consuma.
La ricognizione di Zinna ne esalta la
riscoperta in un ambito tematico prensile e dilatato, per i rami d’una vena che
investe il presente di fuoco etico e persuade a estreme spoliazioni. Neppure la
multipla partizione del libro (cinque sezioni) disperde o interrompe la linea
ispirativa, il flatus che feconda e aggrega: dalla prima all’ultima
pagina è la totale verità dell’uomo, o quella che il poeta totale reinventa
nell’arco degli anni, a innervarsi in percorsi che scandiscono sì eventi e urti
reali ma poi slargano in lievitazioni e, transiti che debordano, estroflettono,
salpano dal basso verso un sovraesistere illimpidito e specchiante. E in questo,
nella mimesi della parola che trasmuta a restituire altro e non effimero il
reale, Zinna tocca il segno del suo cammino.
Il giornale di bordo registra passioni e
pulsioni d’un
vissuto fitto di lampi e oscuramenti,
sussulti e riposi, cadute e liberazioni che ignorano il passato e lasciano muta
la memoria. È l’accadere hic et nunc che si fa iperbole e matrice, volta
a volta nutrendo e maturando fino alla compiuta espressione la falcata narrante.
La quale falcata, già essa misura di gittata strofica, di respiro sintattico, la
dice lunga (e bene) sulle stagioni di crescita e sulle pazienze, fin troppo
tese, finalmente acquisite. Siamo alla sottigliezza del dosaggio, dello
stiramento del lemmi, della caratura semantica. Sarebbe bastato poco a incrinare
la pronuncia.
Zinna si muove su affilato limite. La
sua scrittura alchemicamente impastata di antica e nuova materia verbale,
d’aureo e vile conio, segnata di cesure, armata di parentesi, non ha bave, non
accoglie ornamento, non coniuga sovrappeso. Nella sua economia, essa non
obbedisce che alle necessità del movimento inventivo, si piega nelle volute,
s’innalza sulle punte, si adegua a scarti e tensioni. Ciò rende possibile, in
questo libro che dichiara in esordio un incedere de liricizzato, l’esplodere
dell’epigramma, il mordere del dissenso civile, l’educarsi dei sentimenti alla
disciplina della ragione e delle ragioni. Il poeta àncora la propria identità
alla cifra della libertà morale (di segno cristiano, aperta alla pienezza
dell’essere), destituisce la menzogna, da scacco al gioco delle ideologie e
delle compromissioni.
È una libertà, la sua, che nel riscatto
figurale diventa «un lume che ravviva le pose svilite | che rifiorisce le rose
appassite raduna | le disgregate pietre ristora le case | restaura le chiese
indora il volto di madri | riapre le logge e i teatri». Nel riposato raggio di
quel lume, il passante varca una soglia, avanza, si ferma sotto la navata,
domanda all’Eterno: «Di me che sai? Ancora mi daresti uno sguardo | se mi
perdessi in questo navigare?». Nella domanda canta e vince una risposta.
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Recensione |
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