| |
Ormai sono
tanti i libri su Belli, molti dei quali inutili, ripetitivi, perfino ovvii.
Belli va letto fuori dalle indicazioni che vengono da critici coi paraocchi,
chiusi nei formulari passatisti, nei pregiudizi contro il dialetto. C'è
qualcuno che ancora storce il naso se sente affermare che egli è uno dei
grandi classici della letteratura italiana.
Emerico
Giachery, che ha grande dimestichezza col poeta, lo ha riletto indagando
aspetti che qualche volta sono stati trascurati. Ne viene fuori un affresco
che specifica con acutezza quella parte nascosta del poeta incline alla
malinconia, tormentato dal pensiero della morte, ma anche un Belli vivo per
come ha saputo "incontrare" la vita, il cibo, le passeggiate, la gente alle
osterie, per strada. Sembra che Giachery abbia voluto, quasi giocosamente,
ritrarre il poeta nelle occasioni meno appariscenti e via via che si è
inoltrato nella lettura ne è venuto in evidenza un medaglione che non solo
rinnova la figura del Belli, ma ne tratteggia anche le sfumature che
altrimenti andrebbero perdute in battute occasionali.
A
differenza di tanta critica questa dà la possibilità al lettore di entrare
nel mondo belliano, di affacciarsi nella sua anima, di scorgere certi
pensieri e certi atteggiamenti che solitamente restano in ombra. Ma il
critico illumina il percorso con rimandi a molti altri autori che hanno amato
e discusso i milletrecento sonetti.
Sono sempre
più convinto che dawero il Belli è stato " il più grande artefice del sonetto
che abbia avuto la nostra letteratura". È un'affermazione di D'Annunzio
riportata da Antonio Bruers. Credo che il miracolo sia stato possibile perché
il poeta è riuscito a mettersi dalla parte della plebe per leggere il mondo,
un mondo in cui tutto sembrava essere stabilito per l'eternità e che invece
aveva le crepe per scardinarlo e portarlo verso il futuro. Giachery coglie
questo dato importante e lo sottolinea, al punto che, per meglio renderne la
veridicità, dedica un capitolo al "Tempo del carnevale". Che però non si fraintenda, com'è specificato
nel quarto di copertina, perché "la frequente immagine del Carnevale ci
introduce qui alla condizione carnevalesca nell'accezione antropologica più
ampia". Molto documentato e convincente il capitolo finale sul rapporto Verga
e Belli. Giachery non solo sintetizza ciò che si è scritto in proposito, ma
aggiunge annotazioni pertinenti e acute. Così "può capitare che qualche
apporto ermeneutico dello studioso del Belli possa giovare ad approfondire
qualche aspetto o problema dell'interpretazione di Verga e viceversa. Sempre
nella consapevolezza, s'intende, di quel distinguo che è il fondamento
dell'operare critico".
| |
 |
Recensione |
|