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I colori visti dopo
Ogni critico, quando affronta
un libro, oltre ad avvertire delle sensazioni e delle emozioni, cerca anche di
collocare storicamente l’opera e quindi pensa con naturalezza ai compagni di
viaggio dell’autore che, ovviamente, non per forza devono essere coevi, perché
la poesia sceglie di viaggiare in tempi senza tempi se vuole essere perennemente
presente. Leggendo I colori visti dopo io ho pensato a Ada Negri, a
Vittoria Aganoor Pompili, a Sibilla Aleramo, a Grazia Deledda, a Angelo Silvio
Novaro, a Ugo Betti. Non c’è un motivo preciso che mi ha fatto affiorare le
presenze di questi poeti, probabilmente si è trattato soltanto di atmosfere che
hanno suggerito un’affinità. E quindi sono proprio le atmosfere che Fosca
Andraghetti è riuscita a far rivivere, con suggestioni molto efficaci, con una
sorta di abbraccio che ha qualcosa di magico. Come non ricordare il “fiore
rosso, | solitario e fiero come una bandiera | di vittoria sulla vetta d’un
monte”? E come non ricordare che Fosca aveva “cancellato il cuore | per non
morire” e come non ricordare l’aroma del caffè “che si scioglie
| assieme
al malumore? Pochi esempi per dire che le immagini della poetessa riescono
ad eternare i suoi stati d’animo, a renderli partecipi. E che cos’è la poesia se
non questo saper far ardere nel cuore degli altri i propri sentimenti divenuti
momento universale?
Per decenni si è fatta la guerra
ai lirici accusandoli di esibire il proprio io, il proprio dolore, le proprie
gioie e le mille variazioni della propria anima dannata o sublime. Come se Dante
e Petrarca, Leopardi o Saba non avessero sempre mosso le loro parole attorno al
proprio essere. Il problema sta semmai nel far diventare emozione generale la
propria emozione. A me pare che Fosca Andraghetti ci riesce molto bene e infatti
suo padre diventa un padre di noi tutti, il suo paesaggio il nostro paesaggio e
il suo canto quello di chi si rammarica delle cose perdute.
Si sente che la poetessa ha alle
spalle una lunga esperienza di scrittura poetica e narrativa e ciò le ha
permesso di saper meglio distillare i terremoti della sua anima in parole
calibrate ed essenziali dentro cui si avverte una malinconia stemperata:
“Sulle mie mani il pianto | con pudore fa rumore”.
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Recensione |
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