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Piccole faville
La prima cosa che colpisce aprendo questo libro sono le
dediche, a Daniele Giancane, a Rosa Maria Fusco, a Giovanni Caserta e la prima
poesia “A Rocco Scotellaro”, (ce ne sono altre) come a dire che il legame con la
sua terra, l’amicizia, gli affetti sono la sua ricchezza. Non è casuale quindi
che in copertina siano riportati i versi: “tu mi conosci / e sai che è
l’Amicizia / la mia stella d’oriente”. Amicizia con la maiuscola. E’ già quasi
un ritratto di Giovanni Di Lena che da circa quarant’anni continua a pubblicare
le sue opere senza clamore, con la convinzione che debba essere la qualità dei
versi a contare e non il resto.
E la qualità dei versi, è bene dirlo subito e
sottolinearlo, è di livello. Giovanni scrive con l’anima, e quindi la sua
indignazione ha ragioni autentiche, il suo dettato ha fondamento etico oltre
che estetico , quindi si tratta di “poesia secca, come lo stile, lingua arida,
ruvida, ma non criptica, a volte tagliente, spesso inquietante, sempre
penetrante, che costringe a riflettere, che mette in crisi, costringe a
riconsiderare certezze e convinzioni”.
Antonio Rondinelli ha sintetizzato il lavoro di Di Lena
come meglio non si può fare, ne ha dato le valenze, ne ha spiegato la necessità,
la spinta che lo induce ad andare dritto alla cosa senza tergiversare, senza
abbellire o edulcorare.
Ma scavando e rileggendo trovo momenti di grande tenerezza
, a cominciare da “A carte scoperte” e da “Madre” e da “Domenica”, “Colazione
in campagna”, “Gita a Viggiano” con quel ricordo sinisgalliano che la dice
lunga sulle radici del poeta e su tutto ciò che ha significato il passato.
Giovanni Di Lena è uno di quei poeti che non si sono
improvvisati, che ha succhiato a lungo il lievito di un mondo che non era ancora
esploso e aspettava la stura del rinnovamento evitando retorica e rivendicazioni
gratuite.
Il risultato sono queste “piccole faville” che tuttavia non richiamano nulla di
dannunziano, perché la distillazione di Di Lena è fatta di un afflato lirico che
va dritto al cuore delle cose perché “mentre l’informe prende quota / caparbia,
/ persiste in me / la voglia di un altrove rigenerativo”.
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Recensione |
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