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Rodografie

Cara Lucia,

mi hai fatto dono del tuo libro nel mese delle rose e sta diventando quasi un caro appuntamento che io tenti questi balbettamenti di grazie e di affetto nel mese di quando ho dei giorni tutti per me, e posso con cuore e mente libera stare più accanto a chi accompagna i miei giorni, come è stato delle poesie di Rodografie.

Non sono giorni facili, tu sai qualcosa delle rivoluzioni interiori, del molto da lasciare di sé per essere trasparenti alla luce/Luce: i tuoi cari e sofferti versi sono stati per me come una liturgia delle ore in scrittura di rosa, il che significa la tenacia dell’amore che mai, mai si arrende e che sia pure nel dolore e talora nel lucido guardare il mondo, non cessa d’irradiare la speranza che vive e testimonia con la vita che dona a chi “in un anelito di assoluto genio, impegno e fatica scelga di seguirne “la logica incondizionata” molto nobilitando “la storia umana”, magari come nel silenzio del fiore che si offre allo sguardo, e magari risboccia in autunno ancora più bello e forte nel colore. Mi ha commosso il delicato incipit della chiusa di ”Comete”, quel “cuore, pago”, che “smette di pregare” “supplicando” il tempo dell’incanto “di restare”, un tempo trafitto come “i rami spogli trafitti nidi di solitudine” che “aggrumano l’aria del cielo crudo” e quell’“inattesa attesa” “che ogni pausa vuole”, quel vuoto silenzio che chiama a risposte di assoluto, ad occhi che sanno attendere e stupirsi e quest’attesa è la loro preghiera come, nei momenti di dolore, non riuscire più ad attendere è davvero una supplica al cielo.

Ed ecco entrare il di più (Sovraesposizioni), che forse altera l’immagine, ma solo nel senso che la fa altra, ne segna dimensioni come “vorticanti frammenti di verità” inquieti “nel cristallo dei richiami delle madri” che tutto sanno, perché nella carne, e di lì nella mente e nel cuore, sono unificate nell’amore per le loro creature e ne cercano vie di salvezza, loro che hanno l’anima “d’infinita maglia intrecciata”, che tutto sublimano in amore e dedizione e servizio e voce, in un eccesso d’amore che è l’unico modo di essere dell’amore e modo di Dio, sempre pienamente se stesso oltre se stesso, perduto d’Amore perché in esso Tutto si ritrovi.

E la voce delle rose è nel loro colore, nel loro profumo, nell’attesa urgente del “tocco delle dita che fermi il tremito protratto alle radici”, proprio perché il poeta, che è madre e voce e domanda e grembo alla luce/Luce e all’ombra/Ombra, sa “che il prato autunno delle rose stringe fiori nelle foglie morte tra secchi frutti e sfatti mai raccolti da mano che ringrazia”, sa quanta morte ci vuole per vivere, sa che bisogna essere “mano che ringrazia” e quindi voce concreta che si tende in dono, tutto accogliendo, molto offrendo di sé in sguardi e carezze e dolci non prendersi troppo sul serio, ma tendersi al bisogno.

Ecco “exulcerando”, curando ferite e traendone cura e gesti di attenzione e rispetto “cos’è una rosa”, una rosa ha “sangue” che sa, e “del suo sacrificio nutre e lava” la realtà, scrivendosi in note di colore e soave odore, in istanti di memoria, perché il mondo faccia memoria della bellezza cui anela e della quale è pregno, maternamente pregno, innocente e colpevole di perfezione e quindi di esempio e di voce che spinge a farsi parte, a non escludersi da questo “arpeggio di gioia e dolore” (“S’illumina e spegne”), “canto che sorge il mattino in fianco alla morte che già tocca in sorte” “tempo” che “sa fare e stupisce” e “impagina l’oro del sole che oggi non c’è”. Questo trovo sia una vetta nei tuoi versi, saper dire con tanta virile grazia lo scopo del dire in poesia e come coincida con il dirsi del tempo e nel tempo della Bellezza e del Bene, della Verità, dell’Amore; qui è come dare un bigliettino al mondo con una direzione da seguire e scrivere sotto, in un corsivo tenue, “sì, è così, sempre e nonostante tutto, nonostante quanto sembra remare contro e opporsi, è così”, nonostante e forse grazie all’amaro di quel libro “sfogliato già letto e vissuto che ha detto, parlato, gridato e taciuto, che poco ha goduto molto temuto e tanto di amaro ora è imbevuto”, occhi tesi ai “richiami inuditi delle stelle” (“Rodei”), alle “brezze di voli e di stridi” (“Brezze di voli”), al sogno che “s’annuncia coi passi della sera soffusa di colore blu marino sulle cose abbandonate intorno al cuore”.

Sono “le zampe esigue avvinte al ramo”, ma pronte al volo per un’ardente pulsare di vita nonostante “l’orso del silenzio”, come “tronco che germoglia dalla morte” (“7 febbraio”) perché “nella festa d’esserci il fervore della cura colma lo sguardo di sorrisi” (“Delfini”) e questo si sente sempre nella tua voce cara, carissima Lucia, nella voce dolce e forte dei tuoi versi così d’anima, così di sangue e passione e lacrime e ironia e felicità.

Credo sia così che si sfiora il sacro, lo si accolga come dono di questa materia d’anime così vibrante, come se nel respiro del Creato e delle creature e nelle sofferenze e nelle gioie, si sentissero, lontani, ma vicini, improvvisi, ma molto attesi, i passi che risuonavano nel giardino, quando Dio si accompagnava all’uomo in liete passeggiate e silenzi di pace e unione di cuori e intenti e presenza d’amore/Amore e tutto era possibile come oggi, in questo accogliere, lo è ancora, “nell’evidente incanto delle cose” (“Nell’oriente luce”), “volo che consuma il piego delle ali”, “giungere felice d’ogni viaggio”.

Scusa la confusione, dovuta all’emozione sempre viva nel leggere e rileggere e vivere le tue poesie e grazie sempre, davvero con tutto il cuore, per quanto doni in vita e cuore con il tuo scrivere.

Con grande grande affetto, anche da parte di mamma, come me entusiasta.

Un caro forte abbraccio
Mara

25.08.12

Recensione
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