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La grande storia in minute lettere

Della deportazione nei lager dalla memoria della mia infanzia riemergono piccole storie di minute lettere, mai più ritrovate: quelle che leggeva mio padre, inviate dal figlio prigioniero di guerra di alcuni vicini di contrada, che chiedeva la salsa, calze di lana, ma non c’era l’indirizzo del campo, accuratamente soggetto a censura o quella di un ufficiale di alto grado, che riuscì a far sapere ai suoi familiari che era vivo, scrivendo: "qui ci trattano bene, ci fanno mangiare tutti i giorni come alla vigilia dell’Immacolata".

Chi era addetto alla censura ignorava che in quella occasione di festa si praticasse il digiuno e al massimo si potesse mangiare una focaccia schiacciata (sfornata per l’occasione) e acqua. L’opera dei coniugi Toffanin ripercorre, come un diario di bordo ,attraverso la corrispondenza che va dal 1935 al 1945, la storia intima di due giovani, Gino e Lia, che coronano il loro sogno d’amore, ma che lo fortificano attraverso le peripezie di un mondo in crescente cambiamento, quello dell’epoca fascista, che culminerà nella guerra e nell’internamento di Gino. In un crescendo di ansie, di timori, di riflessioni, di preoccupazioni, ma anche di reciproco sostegno emotivo, di condivisione di obiettivi, i due giovani rappresentano i dubbi, i timori, la crisi di valori di un’epoca che viene presentata con un corredo di note, che ripropongono pagine ai più sconosciute o semplicemente riduttive nei testi di storia di oggi.

Un plauso per aver ritrovato e salvato un patrimonio affettivo nel quale certamente molti avranno riconosciuto se non se stessi, i nonni, gli zii, e ripercorso con la memoria viaggi senza ritorno, ritrovato nell’angolo buio delle pieghe del cuore le cicatrici di lutti o speranze tradite. Significative le notizie: il prepararsi al concorso come docente di Gino mentre è preso dalle esercitazioni nella zona di Fano, l’invio della Carta della scuola di Bottai, da parte della premurosa Lia, che di fatto asserviva la scuola agli interessi della politica, le difficoltà nel reperire i documenti per sposarsi, avere una casa propria.

Collante nella lontananza la nascita della primogenita Marisa. Commovente, nella descrizione un po' ironica, la funzione di docente a Dolo, dove Gino è istruttore, dopo le nozze, di reclute fino alla fine del 1942. : proprio oggi alla mensa ho ricevuto l’incarico di iniziare la scuola per analfabeti….dovrò sacrificarmi tutte le sere dalle 6.30 alle 7.30 per insegnare le aste ad una sessantina di giannizzeri che sanno appena parlare. Ho provato a rifiutarmi, dicendo che ognuno ha bisogno della propria libertà, ma sono stato minacciato di arresti…. L’8 gennaio 1943 viene dato l’ordine al tenente Gino Daniele, del 479° Battaglione costiero, di partire per la Grecia con destinazione Atene. Lì gli italiani sono un esercito occupante e dopo l’armistizio, molti, fatti prigionieri come Gino, saranno internati nei lager .Gino lo sarà in Polonia e Germania per 24 mesi. L’invio in Grecia, viene descritto all’inizio nelle lettere come un "male minore" con la speranza di tornare presto, vista l’iscrizione a Cà Foscari e la possibilità di licenza per sostenere gli esami. Più lunghe le lettere dalla Grecia sicuramente anche perché alcune recapitate dai familiari di un Maggiore, comandante della tradotta, che ha accompagnato i militari da Mestre ad Atene e che abita a Padova. Gino dirà di aver visitato l’Acropoli, visto Maratona, ma costante è la preoccupazione per Lia e la piccola Marisa.

Si informa se a Lia giunge lo stipendio dal Distretto di Padova non potendo acquistarle nulla, dice che ha mangiato rane o bevuto finalmente un bicchiere di latte di capra per tranquillizzarla. L’ansia di quanto accade a Padova è mitigata dalla corrispondenza giornaliera, il sapere i parenti vicini alla moglie e alla piccola. La difficoltà di acquistare mobili per la casa o il regalo di nozze per la sorella di Gino, se da un lato sono cronaca familiare, dall’altro sono il sentore della crisi, Lia per il compleanno della piccola: "poiché tutto ci è tolto, la porterò in giornata a fotografarla". I progressi nei primi passi o il numero dei dentini mitigano l’asperità dei luoghi e il servizio. Lo stesso interesse a far recapitare alla moglie "uvetta per i dolci" è un atto d’amore. Atti di sostegno che Lia condurrà con premurosa cura anche nell’inviargli pacchi in Grecia e quando lo saprà internato. Ricorrenze di compleanni, giorni di fiera come messe e preghiere saranno lievito per rendere meno amaro ogni tramonto e più serena ogni alba: "ho dovuto rassegnarmi a continuare la vita senza di te, per te e per la nostra piccola" e Gino: " la popolazione qui ci odia tutti" .Mentre avviene lo sbarco in Sicilia, Gino dopo tre mesi ad Afidnai, con funzione di guardia alla stazione ferroviaria, viene nuovamente trasferito e questa volta sulla costa del Pireo al presidio di Scalo Orofù. La penuria di cibo, poi gli allarmi, l’insistenza a lasciare la città spingono Lia a Legnaro: " ma rimane questo orizzonte oscuro che si fa oscurissimo e non so se neanche là saremo al sicuro ….siamo sprovvisti di documenti per circolare". Gino: " Noi qui siamo tenuti all’oscuro della verità: la stampa parla pochissimo e non fa alcun commento ai vari avvenimenti, le notizie radio ci arrivano sempre alquanto mutilate".

Ed ecco l’8 settembre con i soldati disarmati e quelli che rifiutarono la collaborazione che conoscono la triste esperienza della deportazione: 650.000 soldati di cui 26.000 ufficiali. Gino potrà riprendere la corrispondenza dopo due mesi di silenzio dal lager di Beniaminov in Polonia, numero di matricola 5437. Significativa nel testo l’interpolazione di flash di situazioni belliche, elenchi di bombardamenti sulle città come Padova, arrivi di sfollati, nonché in nota di pagine di altri diari e ricordi di prigionieri tra cui quella dell’ufficiale de’ Stefani, che elenca la base dell’alimentazione: carote, rape per cavalli, qualche patata e tanta sabbia o la disposizione del campo. La censura permette poche righe e lapidarie: "salute ottima… trattamento buono" e insistente diventa la richiesta di pacchi con farina, gallette, riso. Al mattino spetta "una gavetta di tè di tiglio slavato". La data 1 gennaio 1944 è su una Postkarte, predisposta dall’organizzazione lager Interniertenpost, sette righe che non lasciano spazio ai sentimenti, ma a notizie scarne: "non spedire medicinali, perché proibito". Importante la figura di don Luigi Pasa per gli IMI: dice messa senza autorizzazione, avvia al rosario serale, gesti che aiutano a non soccombere alle pressioni psicologiche e fisiche delle Ss e dei rappresentanti della Repubblica di Salò in cerca di collaborazione, a rendere meno duro affrontare l’assenza di igiene, il freddo -35° (con due coperte), le malattie, la nostalgie per la casa lontana. Particolare la lettera datata 7 marzo: "leggo tutto il giorno accanto alla stufa, chiacchiero con gli amici, mi annoio: ad ogni modo il tempo passa".

Utili informazioni: a seconda dello status, erano impiegati nei stammlager soldati e sottoufficiali al lavoro coatto in fabbriche e miniere al posto della manodopera tedesca al fronte, negli offizierslager gli ufficiali sfiancati oltre che dalla fame e stenti dalla propaganda della Wehrmacht e della RSI. Notevole, dunque, per gli ufficiali laureati o diplomati impegnarsi in attività alternative al lavoro, per non morire psicologicamente e ancor più sorprendente trovare l’attore Gianrico Tedeschi che si attiva con rappresentazioni teatrali, il poeta Roberto Rebora, Enzo Paci che tiene lezioni di filosofia, lo scrittore Giovannino Guareschi. Giunge l’ordine di trasferimento e dal 25/2/’43 al 7 aprile, nessuna lettera, comunque anche dopo si tacciono gli stenti ,le umiliazioni, riportate in nota dal diario inedito di un altro prigioniero e i pacchi diventano motivo di sopravvivenza, da condividere con chi non riceve nulla dal Sud da più di 8 mesi. Gli internati hanno costruito una piccola radio e si spiega perché dopo aver ascoltato Radio Londra Gino scrive a Lia il 13 giugno ’44. "...Spero ritorno vicino". Lo spostamento al lager Oflag 83 testimonia l’accordo tra Hitler e Mussolini che tutti gli internati sarebbero passati a un rapporto di lavoro civile, un grande numero rifiuta ed ecco la successiva scelta a metà gennaio ’45 che dispone che gli imprenditori locali possano scegliere gli ufficiali secondo le attitudini fisiche, sì che esclusi generali medici e cappellani e ultrasessantenni gli altri devono essere occupati nelle industrie di guerra, meccaniche, alimentari o per sterro nei campi. Si perdono i distintivi e i gradi.

Al lavoro obbligatorio vengono inviati Gino, il fedele amico Guelfi, il cognato Nino che di lager in lager viene a ritrovarsi nello stesso di Gino. Si lavora per 8 ore con il badile a Ebstorf. Il generale inglese Cooley apre il cancello di Wietzendorf il 16 aprile 1945 alle ore 17.31. Nino ritorna al campo Wietzendolf e per cinque mesi nessuna corrispondenza, poi l’intervento del Ten. Col. Pietro Testa, comandante del campo italiano, che scrive una lettera personale al Generale comandante del 30° corpo d’Armata britannico con la quale ridona dignità a questi ufficiali con la descrizione del loro comportamento, ricordando tre episodi dei Balcani, tra cui quello di Cefalonia. "…Dopo la cattura gli ufficiali si sono fatti deportare in massa nei campi di concentramento, preferendo la prigionia volontaria al disonore", non hanno potuto avere neanche il soccorso della Croce Rossa nei lager a loro destinati, ridotti allo stato civile, sono stati costretti a vivere al fianco di deportati dalle carceri italiane, ad avere ora il vitto più molto più basso rispetto a quello di altri campi della zona, ad avere la limitazione giornaliera della libertà di uscita, a subire la mancanza di posta, ecc."…possiamo dire con franchezza di essere stati per venti mesi nei ranghi come veri combattenti a fianco degli alleati…" Si sboccherà la via del ritorno, quel ritorno al nido familiare tanto agognato.

Un velo di mestizia ha sempre offuscato i giorni al ricordo delle pene vissute, dei compagni che non ce l’hanno fatta, del mancato abbraccio di chi non si è più ritrovato e il tacere le atrocità se ha da un lato permesso di riappropriarsi del valore sociale della vita all’insegna della fede, dall’altro non ha concesso che labili e sfilacciate notizie. "Le storie minime" colmano i vuoti della grande storia, scritta lontano dalle trincee o dai campi. Agli autori il merito di aver documentato una pagina di storia, solo recentemente riabilitata. Gino sarà nominato Capitano il 12.3. 1948 e Maggiore il 28.11.1966 e insignito della Croce al merito di guerra, una per la campagna di Grecia, l’altra per l’internamento in Germania, ma ciò che conta è che nel Tempio dell’Internato Ignoto, a Padova in località Terranegra, un marmetto ne fissa il ricordo assieme a tanti altri IMI.

Recensione
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