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Perché la vita sia … e altre poesie
“Il vero poeta è colui che ha la vocazione di accogliere in sé lo splendore del
mondo. Sa che la poesia è esperienza e assenza dell’infanzia, costantemente
ricercata, che prepotentemente torna nella parola.” Questo il pensiero di Goethe
che l’editore Guido Miano esplicita nella premessa alla silloge di Giovanni
Tavčar, dal titolo “Perché la vita sia … e altre poesie” ed. 2018. L’opera fa
parte della collana “Analisi Poetica Sovranazionale del terzo millennio”.
Giovanni Tavčar si colloca tra quei poeti, che nel confronto sovranazionale,
hanno affinità espressive ed estetiche, derivate da esperienze comuni
dell’essere, una sensibilità particolare verso i soprusi umani, e la
considerazione che il tempo è avaro. La silloge riporta in copertina l’opera di
Giovanni Conservo intitolata “gente che va” 2004. Tre sono i preziosi prefatori:
Angela Ambrosini, Francesca Luzzio, Guido Miano. La silloge comprende tre
sezioni di liriche, adeguatamente selezionate per temi affini, che hanno
differenti datazioni, come specifica il titolo della silloge, includendo oltre
le liriche del 2018 anche altre provenienti da pubblicazioni anteriori,
attinenti al tema della sezione in cui sono state inserite.
Le tematiche principali di questa silloge, che l’Autore ci presenta con pregiata
abilità poetica e stilistica, sono tre: 1) le problematiche dell’essere 2)
l’incanto della memoria 3) la natura Medicatrix. Le tre sezioni hanno un filo
conduttore, che nella trama dei versi evolve verso un cammino che parte
dall’esperienza quotidiana, dove il tempo costituisce la base di un percorso,
una traiettoria compositiva autentica, che defluisce nella seconda parte in
considerazioni sulla memoria, con dei continui flashback nella trama poetica che
mettono a fuoco i ricordi sempre vividi, terminando nella terza parte con la
meditazione sul compito balsamico della natura, capace di rigenerare lo spirito,
afflitto dalle prove che l’uomo ha dovuto affrontare durante il suo percorso di
vita.
L’autore sceglie minuziosamente un lessico ricercato, formato da lessemi della
stessa area semantica, come “derive di luce” / “frantumazione” / “assenza” /
“fari miseramente spenti”. Nella prima sezione il protagonista incontrastato è
il tempo, “Il tempo travolge ogni collaudata misura”, “questo tempo sta
naufragando tra alti e squassati marosi”. Il colore del tempo a volte appare
sbiadito, sfumato, grigio scuro, tendente al nero dominante, “svaniti” appaiono,
dice il poeta, i colori sgargianti, “scomparsi” sono “i rilievi marcati”. Lui è
stanco. Si paragona a Ulisse. E’ stanco di cercare la sua Itaca, di veleggiare
“su mari senza approdi”.
Nella seconda sezione a far da padrona nelle liriche e nel tema testuale è la
memoria antica. Il riaffiorare della memoria nei ricordi condiziona il presente
e le scelte che devono essere fatte per il futuro. Una memoria sempre giovane,
“sentirsi ancora bambini malgrado i rigurgiti di vecchiezza”, “reinventare nuovi
percorsi d’amore “, ricostruire paesaggi di fantasia per sognare ancora, come un
gioco per “abbeverarsi alla fonte dei sogni”. Il poeta parla di tesori
conservati “nello scrigno del mio cuore”, “emozioni vissute in montanti
dissolvenze”, “incomparabili tesori” sono i ricordi. Una memoria che
alleggerisce a volte le fatiche dei giorni nuovi, perché permette di ritornare
fanciulli per pochi istanti, ma anche una memoria che fornisce “stinti e amari
lampeggiamenti”, “consunti filati di glicini sfioriti”. L’illusione abbandona il
poeta che, sconsolato e disilluso, ha la consapevolezza di gustare solo oggi
“con cosciente pienezza” il piacere della giovinezza ormai trascorsa. Lo
attanaglia il pensiero di non poter più godere della pienezza del passato, e
così sogna nuova “sfolgoranti aurore”, un nuovo divenire che “colora le mie
odierne attese”.
Nella terza sezione, come in un quadro idilliaco e bucolico, la natura assume un
carattere balsamico, medicamentoso, capace con il respiro dell’aria salubre e di
angoli dove svetta la bellezza, di riparare e rigenerare l’anima del poeta,
afflitta ma non sconfitta, perché in lui vive ancora la speranza nella fede. Qui
il linguaggio, che nelle due precedenti sezioni prediligeva nei versi termini
rifiniti, ornati, ricercati, classicheggianti, si spoglia volutamente di tali
orpelli per somigliare e coincidere con il linguaggio trasparente, una piena
sovrapposizione e combaciamento tra verso e natura. Una naturalezza del verso,
che nella semplicità ridonda di luce vera. Tale espediente stilistico del poeta,
scelto con piena consapevolezza, per il cammino intrapreso verso la
Trascendenza, passando come ultima spiaggia, dalla natura medicamentosa, gli
consente di mostrare come la semplicità è la formula che conduce verso albe
nuove di felicità. La vera via per l’uomo di poter cogliere l’essenza
dell’infinito.
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Recensione |
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